L’oratorio di San Giorgio di Purano è già ricordato nel corso della visita pastorale di Ermolao Barbaro nel maggio del 1458 come chiesa soggetta alla parrocchiale di Marano, da cui ogni tanto proviene il rettore a celebrarvi. Le visite quindi del Cinquecento, oltre alla segnalazione della presenza attigua di un cimitero o a qualche raccomandazione di manutenzione ordinaria come l’imbiancatura delle pareti (Ibidem), non contengono particolari informazioni sulla struttura e sull’entità della nostra, così si deve attendere fino al 1657 per apprendere che il tempio ha un unico altare con portatile, presso il quale si celebra in occasione della festa del santo titolare, portando i paramenti dalla parrocchiale.
Nella successiva visita, nel maggio del 1666, parrebbe però di potervi cogliere un’attività assai più intensa e perfino in competizione con Marano, tant’è che in San Giorgio si vieta di celebrare nei giorni di festa se prima non sia terminata la messa presso la parrocchiale; comunque una tale ambizione, se mai vi fosse stata, venne presto frustrata e già nella prima visita del Settecento (ottobre del1717) la celebrazione della messa viene riferita piuttosto occasionale: talvolta per devozione e nella ricorrenza del titolare.
La visita seguente nel settembre del 1738 informa però di un importante ampliamento dell’edificio chiesastico, segno evidente di un attaccamento della gente della contrada alla propria chiesa e all’intenzione di recarsi ad ascoltar messa in questa: cosa che deve in seguito avvenire con regolarità, come testimonia la visita del 1764 in cui si dice pure che il celebrante è pagato dai locali.
San Giorgio dipinto all’interno
della cupola della chiesa parrocchiale
Le ulteriori visite non aggiungono null’altro, specie in relazione all’architettura della nostra chiesa che rimase sostanzialmente inalterata fino ai nostri giorni. L’oratorio, come lo vediamo tuttora, è dunque il frutto di almeno due fondamentali momenti costruttivi: il primo risalibile all’edificazione della chiesa, presente come s’è già visto almeno nel Quattrocento, e un secondo tra gli anni 1717 e 1738, con prolungamento di quasi del doppio della navata, che ne determinò l’aspetto attuale con facciata a capanna, adornata da due coppie di lesene ai lati dell’ingresso e della finestra a mezzaluna, corpo unico, sacrestia e campanile sul lato settentrionale e quindi un ulteriore fabbricato,sempre sul medesimo lato, attiguo alla sacrestia, adibito a ripostiglio e su cui è murata un’iscrizione lapidea del 1410.
L’interno è a un’unica navata che porta all’arco trionfale e quindi all’abside quadrato, dove sta l’altare marmoreo e la pala raffigurante San Giorgio che abbatte il drago, segnalata ancora nel 1699. In una nicchia sulla parte meridionale la statua di San Giovanni Nepomuceno, documentata dal 1764.
Le prime attestazioni, come la lapide con l’iscrizione sul lato nord, sono dei primi del ‘400: la chiesa era però già esistente e c’era già il cimitero; dipendeva dalla chiesa parrocchiale di Marano, da cui arrivavano celebranti e paramenti. I rifacimenti della prima metà del ‘700 le hanno dato l’aspetto attuale: prolungamento della navata di quasi il doppio, facciata a capanna, adornata da due coppie di lesene ai lati dell’ingresso e dalla finestra a mezzaluna, corpo unico, sacrestia e campanile sul lato settentrionale e quindi un ulteriore fabbricato, sempre sul medesimo lato, attiguo alla sacrestia, adibito a ripostiglio e su cui è murata un’iscrizione lapidea del 1410. L’interno è a un’unica navata che porta all’arco trionfale e quindi all’abside quadrata, dove sta l’altare marmoreo con la pala raffigurante San Giorgio che abbatte il drago, segnalata ancora nel 1699. In una nicchia sulla parte meridionale la statua di San Giovanni Nepomuceno, documentata dal 1764. L’iscrizione del 1410 ricorda la donazione testamentaria di Inaldo che obbliga gli eredi, con il controllo del Comune di Marano, a offrire il giorno della festa del santo patrono, San Giorgio, pane ai poveri, ben 43 chili!. Prendendo spunto da essa è stata rianimata una sagra del paese che ha luogo l’ultima domenica di Maggio e durante la quale il sindaco offre una forma di pane ai capifamiglia della contrada, i quali tutti si ritrovano poi nel solenne pranzo comunitario.