dall’Arena del 06 04 2010
MITO. Spirito libero ed errante, lasciava la casa di Pezza agli affittuari e vagava per le città
Aveva la licenza d’artista per vivere da vagabondo
Lorenza Costantino
Guido Zamboni girò Italia e Africa con la patente da musicista ambulante, unico modo per evitare rappresaglie del regime. Morì da vero filantropo
Martedì 06 Aprile 2010 PROVINCIA, pagina 27
Guido Zamboni (1905-1982)| Un libretto bancario del 1937 emesso all’Asmara (Eritrea)Tra compaesani ci si conosceva e ci si fidava: le porte restavano aperte e quando si tornava a casa si salutava il vicino. Le sorelle Daniela e Annamaria Marchesini, allora bambine a Pezza di Marano, lo vedevano passare spesso, in via la Tòrta, quando non era in giro per il mondo, il famoso Guido Zamboni, classe 1905. Zamboni salutava le bambine e prendeva le scale per raggiungere il suo alloggio: in solaio. Zamboni si era sistemato spartanamente, anche se era il proprietario della casa: gli bastava poco spazio, così poteva affittare gli altri locali alla famiglia delle ragazzine. Tanto a Pezza ci stava poco: ai Morti, a Natale e per la spigolatura dell’uva. Per tutto il resto dell’anno, Guido spariva dal borgo nativo per girare l’Italia con l’inseparabile licenza di suonatore ambulante. Era il personaggio più singolare dell’intera vallata, una figura mitica nella sua evanescenza, di cui i maranesi nutrivano una riverente simpatia. Le due bambine ricevevano da lui cartoline stupende, che tuttora conservano: Rapallo, Genova, Savona, Modena, Lecco, Parma, Bergamo, Sanremo… scriveva semplicemente: «Saluti» o «Auguri».
LIBERO «Allergico alla vita sedentaria», lo definisce Adolfo Lonardi, l’impiegato comunale che, con un timbro e una marca da bollo, rinnovò annualmente la licenza di suonatore, sempre tra il 15 e il 20 dicembre, fino a pochi anni prima della morte di Zamboni, avvenuta nel 1982. Il musico ambulante si presentava in paese con magnifici strumenti costruiti con le sue mani, soprattutto chitarre e mandolini. Sulla licenza, ricorda Lonardi, c’era scritto «suonatore ambulante – spettacolo viaggiante». Quel foglio era prezioso per Zamboni: rappresentava la sua libertà. Ai tempi della dittatura fascista, quando l’uomo iniziò a vagabondare seguendo il suo istinto, rischiava a ogni passo l’accusa di «comportamento contrario all’ordine pubblico». Il regime non tollerava girovaghi. Per girare senza rischiare multe e arresto, Zamboni trovò questo sietema: farsi autorizzare all’attività ambulante, con regolare licenza. Spirito libero ed errante, ma con dignità. «Non chiese mai l’elemosina, tantomeno venne inserito nel registro degli assistiti del Comune», ricorda l’ex impiegato municipale. «Viveva del suo mestiere». E curava molto il proprio aspetto, come si conviene a un artista: «Talvolta indossava una giacca di velluto». I compaesani ricordano che d’estate si recava soprattutto sulla costa ligure, per suonare nei ristoranti musiche famose oppure composte da lui stesso. «A Sanremo», ricorda Daniela Marchesini, «comprava i dischi e gli spartiti del festival».
Guido era l’erede di Bonfiglio Zamboni, eccellente falegname, sposato con Giuseppina Fantin. Dal padre, Guido aveva assorbito l’arte di lavorare il legno. «Il marchio di Bonfiglio su una ruota di carro», ricorda Lonardi, «era garanzia di indistruttibilità». Figlio d’arte, Guido applicò le sue conoscenze al campo musicale, iniziando a costruire ogni sorta di strumento. Passando da Cremona, nel suo peregrinare, i famosi liutai di quella città gli chiesero di fermarsi a bottega da loro. Ma lui rifiutò.
Nella famiglia Zamboni c’era anche una sorella, Maria, sposatasi in tarda età e trasferitasi con il marito in contrada Cona di Sant’Anna d’Alfaedo. Senza figli, morì pochi anni dopo il fratello. Guido, invece, non si era mai ammogliato, pur essendo un bell’uomo, alto e piacente. Essere sempre in viaggio, diceva, ti rende un gentiluomo. Ma metter su famiglia, o avere un lavoro «normale», rientrava in quella serie di vincoli sociali cui Zamboni fin da giovane aveva deciso di non piegarsi. Per badare alla casa in sua assenza, a un certo punto Guido decise di prendersi una domestica, conosciuta in paese come la Emma. Era una vedova originaria del Lago di Garda, più anziana di lui e cieca da un occhio: puliva e lavorava a maglia.
Zamboni, nella sua vita da vagabondo, non teneva con sé contanti, se non il minimo indispensabile. Aveva aperto piccoli depositi nelle banche delle città in cui si recava più spesso: vi versava l’incasso degli spettacoli tenuti sul posto. Nella sua valigia, custodiva tutti i libretti di risparmio, per poter prelevare il denaro che gli occorreva durante i suoi spostamenti. Non accumulò mai grandi cifre in banca. Ma in tal modo viaggiava tranquillo e senza il timore di borseggi. Attraverso l’esame di questi documenti, archiviati dal Comune di Marano dopo la morte di Zamboni, emerge anche una parentesi africana, testimoniata dal libretto della Banca di Roma emesso dalla filiale di Asmara, in Eritrea.
AFRICANO A Marano, però, di questo particolare sembra essersi persa la memoria. Tra i paesani più anziani, c’è chi ipotizza che Zamboni si fosse accodato alle truppe italiane durante la spedizione militare che partì dall’Eritrea per la conquista dell’Etiopia. Forse, nella sua immensa curiosità, sfruttò l’occasione per metter piede in un continente sconosciuto.
«Zamboni continuò a fare il suonatore ambulante fino a quando le forze glielo permisero», racconta Adolfo Lonardi. «Infine, un paio d’anni prima di morire, fu accolto nella casa di riposo di Valgatara. Lasciò in eredità al Comune la sua casa, come ricompensa per l’assistenza ricevuta, ma con il patto che fossero istituiti corsi di musica per i giovani».
«I soldi sparsi per l’Italia», conclude Lonardi, «furono impossibili da recuperare. Però dalla vendita dell’abitazione si ricavò il denaro necessario per ampliare la casa di riposo. E furono avviati anche i corsi musicali». Il Comune, qualche anno fa, ebbe la necessità di intitolare una nuova via. Non ci furono discussioni: la strada porta il nome di Guido Zamboni.