mercoledì 11 gennaio 2006 inserti pag. 52
Leonardo e i suoi fratelli
E’ una giornata di gennaio, il 21 gennaio 1798 per la precisione, ma i
veronesi la ricorderanno come una giornata calda. Non in senso
meteorologico, ovviamente, ma per l’entusiasmo popolare suscitato dalle
truppe austriache, che, in seguito al trattato di Campoformio, entrano da
Porta Nuova e prendono possesso della città. Tanto entusiasmo per quello che
è pur sempre un esercito di occupazione, si spiega: l’arrivo degli austriaci
significa la partenza dei francesi.
Questi ultimi non sono amati. A parte una ristretta cerchia di seguaci, i
più li detestano, al punto che la popolarità degli austriaci nasce dal
semplice fatto di essere nemici dei francesi: nemici dei nemici e quindi
amici. E infatti le truppe asburgiche che sfilano in centro, vengono
acclamate da quella stessa gente che lancia prima insulti e poi pietre
contro le case dei "giacobini", gli amici dei francesi.
Alla testa dei reparti cavalca il barone Wilhelm von Kerpen, un generale
cinquantasettenne che festeggia proprio nel 1798 il suo quarantesimo anno di
carriera militare. A Verona, è l’eroe del momento: in suo onore si illumina
il centro, si danno, quella sera stessa, spettacoli e balli e si celebra, il
giorno successivo, un Te Deum in Duomo. Gli vengono dedicate anche alcune
composizioni poetiche o presunte tali. Fra queste, c’è una cantata, scritta
da Leonardo Capetti, e musicata dal "nobile signor conte Pietro Dal Pozzo".
Il titolo, "Il genio dell'Austria in riva all'Adige", e la dedica, "A sua
eccellenza Guglielmo barone di Kerpen", spiegano tutto.
I personaggi della cantata sono l’Adige, il Genio dell’Austria ed un coro di
pastori. Questi ultimi consolano il fiume, intristito dalle devastazioni
della guerra, dicendogli che ora tutto è cambiato. Poi entra in scena il
Genio dell’Austria e annuncia che i lamenti dell'Adige sono giunti fino a
Cesare, ossia fino all'imperatore, che ha deciso di porre fine alle sue
sofferenze. Detto in altre parole, i veronesi devono attendersi dall'Austria
solo anni di pace e di prosperità. Infatti, la cantata si conclude con versi
trasudanti ottimismo: "E’ finita la procella/ Splende in cielo amica
stella", dove la stella è naturalmente l’Austria e chi la rappresenta.
Solo una ventina d’anni dopo, nel 1822, la polizia austriaca redige un
elenco degli individui "sospetti di appartenere a società segrete". Vi
compaiono, tra gli altri, tre fratelli di Marano: Giacomo, Giuseppe e
Leonardo Capetti. Non si tratta di omonimia, quest’ultimo è proprio l’autore
della cantata. Anche se non viene considerato un estremista pericoloso, è
comunque definito "non amico dell'attuale sistema". Proprio come il fratello
Giuseppe, mentre il terzo, Giacomo, è oggetto di sospetti ben più gravi: lo
si ritiene un carbonaro, o meglio un "seguace della setta carbonica" (sic),
in contatto con i sovversivi romagnoli che gli avrebbero affidato il compito
di "spargere il seme della rivoluzione anche in questo regno".
I fratelli Capetti, insomma, sono dei "sovversivi" e Leonardo,
evidentemente, ha cambiato radicalmente le sue idee. "E’ finita la procella/
Splende in cielo amica stella", aveva scritto nel 1798, ma venti anni dopo
quella stella si è oscurata. Forse tutto si spiega con la delusione di chi
aveva ingenuamente considerato gli austriaci dei "liberatori", dimenticando
che chi libera un popolo da un dominio lo fa in genere per imporne un altro.
Comunque sia, l’avversione all’Austria dei Capetti e le conseguenti
disavventure con la polizia sono probabilmente anche all’origine della
vendita della loro casa e dei loro terreni di Marano.
Per loro non si tratta di una decisione facile. Quelle proprietà, come ha
dimostrato in un suo recente saggio Pierpaolo Brugnoli ("Casa Capetti ora
Borghetti a PROGNOL di Marano di Valpolicella"), la loro famiglia le aveva
acquistate alla fine del Cinquecento e la casa risale alla prima metà del
Seicento. Tutto era incominciato con una storia nella storia, quella di un "radarolo",
ossia di un trasportatore di legname via Adige originario della Valtellina:
si trasferisce a Verona all'inizio del Cinquecento e si crea una discreta
fortuna che poi i discendenti investiranno in terra a Marano. Quella terra e
quella casa destinate a passare di mano anche per le disavventure politiche
di Leonardo e dei suoi fratelli.
Emanuele Luciani
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