Di una stazione preistorica a
Marano di Valpolicella nel veronese

MARANO DI VALPOLICELLA

 

 

 

OLINDO FALSIROL

 

 

 

DI UNA STAZIONE PREISTORICA

A MARANO DI VALPOLICELLA

 NEL VERONESE

 

 

 

A cura del Circolo Culturale “AMICI DI SOPHIA”

 

 

Quidquid sub terra est in apricum proferet aetas

 

 

Dal 1888, anno in cui con la scoperta della stazione litica di Giare si chiuse l'attività di STEFANO DE STEFANI, la storia della ricerca paletnologica nel veronese segna un lungo periodo di stasi che arriva fino ai nostri giorni, e che, salvo qualche fortuito rinvenimento, fu solo interrotto da alcuni scavi praticati da E. TE­DESCHI sotto il riparo delle Scalucce di Molina e da G. B. ROSSI prima, e poi da A. FORTI e R. FABIANI al Ponte di Veia.

E' noto che il campo delle esplorazioni del DE STEFANI fu principalmente il territorio del soppresso Comune di Breonio. A diciotto ammontano le stazioni, fra litiche dei metalli e miste, che figurano nella Carta Topografico-Preistorica di quel Comune, da lui presentata, nel 1881, al Congresso Internazionale Geografico di Venezia.

Durante gli anni 1929-1930 io intrapresi sui Lessini delle ricerche coronate da buon successo (1). Potei infatti stabilire l'esi­stenza di abbondanti resti della civiltà della pietra anche a sud della zona di Breonio, lungo il limite fra la coltivazione dei pascoli e dei boschi e quella dei cereali e della vite.

Come annunzia il titolo, dirò brevemente, di alcuni di quei resti, i primi ch'io misi in luce nel Comune di Marano di Valpoli­cella. Essi fanno parte d'una mia collezione e furono da me descritti un due anni fa (1929) in una memoria di cui la presente è una ristampa qua e là ritoccata.

 

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Le valli che, a guisa di ventaglio, sfociano in pianura sopra Verona, si alzano a nord, riunendosi verso la radice, nell'Altopiano dei Tredici Comuni. Su questo, non lungi dal massiccio del Pa­stel, è il paesetto di Breonio noto agli archeologi, a nord-est del quale si eleva la cima di S. Giovanni (m. 1055).

Dal S. Giovanni la catena discende per il monte Loffa, ove il DE STEFANI scoprì gli avanzi d'un villaggio protostorico, per Cona e per le Masue di Cerna, sino al monte Robiaco. Quivi si divide in due rami: l'orientale separa la valle di Prun e di Negrar da quella di Marano; l'occidentale è, a sua volta, spartiacque fra la vallata di Marano e l'angusta valle dei Progni (2) nel cui fondo corre la strada Fumane-Breonio. Le vette principali di questo se­condo ramo sono: monte Noroni (m. 789), monte La Mare (m. 705), monte Pèr (m. 630), monte Castellon (m. 591), monte Pezza (m. 402).

Le località in cui io potei stabilire la presenza di avanzi prei­storici, sono distribuite appunto lungo la cresta monte Robiaco ­monte Pezza. Ad esse si devono aggiungere il vegro (2) della Por­casola (Porcarola) e la costa di Ciacalda, fra il vaio (2) di Baiaghe e la Valsorda, nel punto in cui questa e quello sboccano nella valle dei Progni.

 

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Sotto il monte Castellon, sul cui fianco sud-orientale sorgeva un tempio eretto a Minerva Augusta dagli Arusnates, la popola­zione che già in epoca preromana abitava la zona, si trova la loca­lità detta Boschettt a sud della quale si stende una brulla spianata, un vegro, limitata ad est da campi lavorati costeggianti la strada. che dalla contrada Pezza scende a Crosetta, ad ovest da pareti roc­ciose prospicienti la valle dei Progni.

Per gli Arusnates: PAIS, Storia di Roma I, 84, 241; MOMMSEN, CI. L. V. 390 sgg. « Sacra autem sua pagani ii », cioè gli Arusnates, « ha­buerunt, quo rertinent genus pagi Arusnatium... et dii Cuslanus et Suppiter Feluennis... et fortasse Ihammnagalle Sqnnagalle..., praeterea Minerva Au­gusta, euius ex aede ad Manerhe supra Maranum retecta prodierant n. 8906-3914 » (op. cit. 390: Manerhe è l'odierna contrada di S. Rocce, fino a poco tempo fa chiamata anche contrada di Santa Minerba); PAULI-WISSOWA « RE » 1493. Nul1a si può dire di preciso circa l'appartenenza. etnica dì queste popolazioni (la desinenza in ates essendo notoriamente, di discussa provenienza).

 

Nella suddetta località io iniziai delle ricerche nel maggio del 1929 e le continuai saltuariamente per circa un anno facendo raccogliere materiale, cioè selci lavorate, alla superficie e praticare nel terreno una grande quantità di assaggi, che dettero esito negativo. A una spanna in media, dalla zolla erbosa, s'incontra la roccia che, qua e là, affiora. E' certo che l'azione dei venti e delle acque assot­tigliò, fino a distruggerlo, lo strato archeologico lasciandone allo scoperto gli oggetti di selce.

La maggior parte dei non numerosi, ma interessanti esemplari di Boschetti, ha aspetto arcaico, spigoli spesso smussati, superficie ricoperta da una patina bianca che nasconde il color naturale, in prevalenza bruno o biondo, della selce. Fra essi ve ne è uno di cal­care bianco (3).

Pochissime selci conservano integra la loro tinta originaria. Alcune sono appannate da un velo di trasparenza azzurro-lattea. Tutte per i tipi e la lavorazione, collegano la stazione di Boschetti con le rimanenti, litiche, di Breonio e di Sant'Anna (4), di Giare e di Ponte di Veia (5), di Velo (6), e di Rivoli (7), per non nominare che le più note (fra le scoperte nel secolo scorso) delle Prealpi Veronesi.

Particolare delle stazioni in parola - a parte la produzione di quelle selci a contorno insolito di cui io finora non rinvenni alcun esemplare e la cui autenticità viene tutt'ora discussa dalla maggior parte degli archeologi stranieri (8) - è la presenza di forme che, secondo qualche autore, fra cui già il Pigorini, sarebbero una deri­vazione. in epoca olocenica, dell'industria chelleana: tal i il piccone (pio), il trincetto (tranchet). lo scalpello (ciseau, distinto dal trin­cetto per la sua forma allungata con bordi paralleli), l'accetta (hache) lavorati a grandi scheggiature, arnesi tipici del campi­gnano, e (certi rozzi esemplari de) la cuspide a foglia di lauro. Più largamente: poichè con le suddette forme altre ad esse mescolate in terreni archeologici intatti furono rinvenute di lavorazione uni­facciale, oltre a manufatti neo- ed eneolitici, si suppose che le fami­glie rappresentanti sui Lessini della civiltà campignana, fossero discendenti di famiglie paleolitiche che avevano associato l'uso del­l'amigdala di Chelles a quello della scheggia musteriana. Favorite da particolari condizioni di isolamento, esse avrebbero conservato i prodotti derivati da queste più antiche industrie accogliendo in seguito, accanto ad essi, quelle della tarda e della tardissima civiltà della pietra (9).

 

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Per una breve descrizione divido gli oggetti da me raccolti in due categorie e precisamente in A: strumenti lavorati sulle due facce o tutto all'intorno; e in B: strumenti a faccia di stacco liscia e a scheggiatura unifacciale.

Questo criterio di classificazione sembrerà forse poco razio­na~. Si dirà che io avrei meglio raggruppato gli oggetti a seconda della loro appartenenza a determinati tipi industriali. Adottandolo ho avuto lo scopo, in mancanza di ogni anche ipotetico riferimento stratigrafico, di facilitare al paletnologo il confronto delle selci di Boschetti con quelle scavate a Rivoli dal PELLEGRINI, che fre­quentemente richiamo. Il Pellegrini infatti (il quale, sia qui detto, fu nel secolo scorso l'unico studioso di preistoria lessinica che abbia condotto gli scavi con un certo metodo), pur avendo nel suo lavoro indicato la posizione stratigrafica degli oggetti rinvenuti, ripro­duce, alla fine del lavoro stesso, le figure di tali oggetti ripartendoli in due grandi categorie a seconda dell loro lavorazione bifacciale od unifacciale. D'altra parte l'appartenenza degli oggetti la me rinvenuti a questo o a quel tipo di industria, risulterà chiara sia dalla descrizione che io ne farò (e dalla figura per quelli ripro­dotti nella tavola posta in fine alla presente memoria), sia dal ri­chiamo al lavoro del Pellegrini (v. nota 7) oltrechè al classico Manuel d’Archéologie Phéhistorique di J. DÉCHELETTE (Vol. I, Paris 1928).

 

A

 

1.  Due dischi a facce fortemente convesse ed entrambi, pres­s'a poco, delle stesse dimensioni: mm. 35 >< 18. Ricordano il disco acheuleano (cfr. D~CHELETTE, 81, fig. 23). Secondo alcuni autori tali dischi furono strumenti di lavoro, ma non si seppe definirne la precisa destinazione; secondo altri, invece, proiettili discoidi. Di identici nella forma a quelli di Boschefti se ne rinvennero a Rivoli (cfr. PELLEGRINI, Tav. VII, fig. 17).

2.       Dieci bifacce campignane (cfr. PELLEGRINI, Tav. III). In questa categoria raccolgo, oltre ai ben delineati manufatti cam­pignani dei tipi indietro nominati, anche alcune incerte forme intermedie, nel complesso, dunque, degli strumenti a lavorazione bifacciale e di sagoma triangolare o trapezoidale o trigono-trapezoidale o rettangolare o rettangolo-ovoidale e serventi, a seconda dei capi in diverso modo sbiecati o appuntiti o spianati o arroton­dati e della diversa qualità della scheggiatura marginale, da ta­gliente o da scalpello o da cuneo o da punteruolo o da mazzuolo o da raschiatoio (per i veri e proprio raschiatoi v. tuttavia avanti), etc. La figura a, mostra uno dei tipi ibridi simile, anche per la gon­fiezza delle facce, a una piccola amigdala chelleana spezzata nell'apice. Una delle due facce presenta la particolarità, già osservata dal BATTAGLIA per alcuni esemplari del Ponte di Veia, di un doppio ritocco che ne ha alquanto assottigliato la base rivelando il color naturale, grigio, della selce: mm 53 X 32 X 19.

Nella fig c è riprodotta un'accetta spezzata (frattura antica) a mm 43 dell'altezza., a scheggiature larghe e piatte, taglio affilato, convesso: mm. 53 X 35 X 14.

3.       Cinque punteruoli, di cui uno d'angolo, a base larga e grezza. Gli altri quattro constano ciascuno di una selce stiloide, lavorata con grossolani ritocchi, a base atta, o non, all'immanica­tura. Vedine uno, con la punta spezzata, a fig. i.

4.       Una lama. spezzata trasversalmente, a doppio taglio ri­curvo all'apice e formato da minute scheggiature praticate, dall'una parte e dall'altra, alternativamente, lungo l'intersezione delle due facce convesse: mm. 40 ~>< 14'  5 (tecnica eneolitica).

5.       Quattro punte di giavellotto, ovoidali, rotte alla base, a rozza scheggiatura (cfr. PELLEGRINI op. cit., Tav. III, figg. 8, 9, 10: Deposito del Regano).

6.       Sette cuspidi a foglia di salice, variamente spezzate (cfr. PELLEGRINI, op. cit., Tav. Il, fig. 10: Banco dei Campetti; tav. III, fig. 3: Covoli della Rocca; figg. 1, 2, 4: Banco dello Spiazzo; quelle di Boschetti sono di lavorazione meno fine).

7.       Dieci cuspidi di freccia di cui sei, mutile all'apice, sono a triangolo isoscele, snelle, con peduncolo ed alette più o meno pro­nunziati (tecnica eneolitica).

Delle rimanenti quattro una è rimasta allo stato di abbozzo; un'altra, flg. d, con le alette i margini laterali e l'apice fortemente smussati, ha la base concava (tipo delle palafitte, cfr. PELLE­GRINI op. cit. Tav. IV fig. 21), dimensioni originarie: base mm. 17, altezza m. 21; una terza, flg. h, l'esemplare più grande e tozzo, ha il corpo a triangolo equilatero spezzato nella parte superiore del margine laterale (nella figura) destro, e grosso peduncolo (tecnica campignana): altezza mm. 32, base mm. 31, spessore massimo mm. 8; l'ultima riproduce la sagoma della foglia di salice (cfr. DE CHELETTE op. cit., 496, flg. 3).

8.        Sei raschiatoi. Di questi il più grande, quadrangolare, flg. e, largo 50 mm. è spezzato a 39 mm. della lunghezza. Fu rica­vato da una grossa scheggia, appiattita fino allo spessore di circa 8 mm. col levare larghe scaglie dalle due facce e col ritoccare i margini. Altri presentano contorno ovoidale.

 

B

 

9.        Un bulino ad angolo diedro mediano. Ha contorno trian­golare, alquanto ristretto alla base, faccia di stacco con grosso bulbo di percussione e dorso solcato, come vedesi nella figura b, da scheggiature di cui due, laterali, formano, incontrandosi al­l'apice, il taglio: mm. 40 X 19. Ricorda certe forme di bulino magdaleniane.

10.      Sedici lame (oltre a parecchie schegge laminari), molte spezzate, quasi tutte arcuate. Hanno sezione triangolare o trape­zoidale, margini irregolarmente paralleli, apice acuminato o leg­germente arrotondito, due soli quasi impercettibili ritocchi. Di­mensioni medie: mm. 30 X 8 (cfr. PELLEGRINI op. cit. Tav. VI, figg. 6, 7, 8, 9, 16, 17, 39).

11.      Una ventina circa di punte erigono-rombo-ovoidali con margini taglienti, senza ritocchi. Nella faccia inferiore è quasi sempre visibile il bulbo di percussione, la superiore è percorsa da una costola (o da più convergenti verso l'apice): dimensioni medie: alt. mm. 35, base mm. 15.

12.       Nove grattatoi su lama (grattoirs sur lame: usiamo la terminologia di DE CHELETTE op. cit. 103 e 169 con fig. 71) e semplici.

Il   grattatolo non è (cfr. DÉCHELETTE op. cit. 103) che un raschiatoio situato all'estremità d'una scheggia allungata. Il più grande dei suddetti strumenti, un grattatoio semplice, è costituito da una scheggia oblunga dello spessore massimo di 19 mm. con forte salienza dorsale, arrotondata a zoccolo all'un dei capi, il quale è munito di diligenti ritocchi lungo il margine. La faccia inferiore, liscia col solito bulbo di percussione, misura mm. 74 di lunghezza e 35 di larghezza. È un bel esemplare da ascriversi alla categoria dei grattatoi o raschiatoi a zoccolo tipici del campignano lessinico. V. fig. g.

13.     Una cuspide di giavellotto ovale, e un'altra, fig. f, di freccia pure ovale a dorso appiattito da tre scheggiature longitu­dinali di cui due percorrono corpo e peduncolo. Margine dentel­lato: base mm. 14, altezza mm. 18.

14.     Due succhietti (percoirs). L'uno consta di una base a sezione trasversa triangolare, limitata, quindi, longitudinalmente, da tre facce di cui una superante di poco in larghezza le altre due, porta un'intaccatura, che serviva forse all'immanicatura dell'ar­nese. Dalla base si stacca un'allungata piramide il cui vertice, smussato leggermente per mezzo di ritocchi in modo da irrobu­stirlo, costituisce la punta del succhiello.

L'altro è una scheggia larga aMa base e terminante pure in piramide come per il precedente. L'arnese è del tutto simile a quello della fig. 42, 5 DÈCHELETTE op. cit. 123.

Nomino alfine una diecina di oggetti che non ho potuto iden­tificare, fra essi uno piramidale (a facce originariamente liscie, con vertice e spigoli assai smussati e corrosi, base originaria mente triangolare equilatera con mm. 25 di lato, altezza mm. 60), qualche « arnese di fortuna » (soprattutto raschiatoi), venti nu­clei (cfr. PELLEGRINI op. cit. Tav. VII, figg. 21, 23, 24) e circa ducento schegge portanti tracce di lavorazione Non rinvenni resti ossei o metallici o fittili.

L'abbondanza dei nuclei e delle schegge e, inoltre, la circo-stanza che selce di qualità eguale a quella di cui son fatti gli strumenti sopra descritti, si trova nelle vicinanze, lascia credere che la lavorazione di tali arnesi si facesse sul posto.

 

1)     Delle stazioni che io indicai alla Sopraintendenza alle Antichità del Ve­neto, una nel Comune di Negrar.  presso il Monte Robiaco (Santa Cri­stina) è certamente fra le più importanti e forse la più estesa di quelle scoperte finora sui Lessini.

2)  Progno, vegro, vaio significano nell'idioma locale rispettivamente: tor­rente, luogo incolto, solco torrentizio (sono tutte voci di chiara deriva­zione latina)

3)  Manufatti di calcare furono raccolti anche nel riparo delle Scalucce e nelle stazioni di Cà del Vecio, della Fontanella e di Ponte di Veia: BAT­TAGLIA, Tracce di un abitato preistorico a Ponte di Vela nel Veronese « Madonna Verona » fasc. 65~6g, 9.

4)  DE STEFANI, Notizie storiche sulle scoperte paletnologiche fatte nel Comune di Breonio Veronese <<Atti della R. Accademia dei Lincei». Serie IV, Mem. Cl. Sa.. mar. Il. - Sopra gli scavi fatti nelle antichis­sime capanne di pietra del Monte Loffa a Sant'Anna del Faedo « Memo­rie della Accademia di Agricoltura, Arti e Commercio di Verona> LXII.

5)  Scavi di G. B. Rossi: ISSEL, Le selci enigmatiche di Breonio «Atti della Società Ligure di Scienze Naturali e Geografiche» XXVIII; e di A. Forti e R. Fabiani: BATTAGLIA, Tracce etc. cit. - DE STEFANI, Stazione litica a Giare nel Comune di Prun. « Bullettino di Paletnologia Italiana» XIV.

6)  OMBONI, Di alcuni oggetti preistorici della caverna di Velo Vero­nese « Atti della Società Italiana di Scienze Naturali » XVIII..

7)  PELLEGRINI, Officina preistorica scoperta a Rivole Veronese « Memo­rie dell'Accademia di Agricoltura, 'Arti e Commercio di Verona » LIII. -MOCHI, Sul modo di interpretare le stazioni neolitiche di Rivole Veronese «c « Archivio per l'Antropologia a l'Etnologia» XLIII.

8)  L'eco della polemica, iniziatasi, come è noto, per le contestazini di A. e G. DE MORTILLET («L’Homme» 1885-1886> si prolungò fino al 1917 (v. ISSEL, op. cit.). Recentemente il VAUFREY, Le poléolithique italien. « Arch. de l'Inutitut de Paléontol. Rumaine»  Mém. 3. Paris 1928. 164. affermava ancora in falsità delle «selci strane di Breonio. per  'au­tenticità delle quali si era invece così energicamente pronunciato il PIGO­RINI, Selci lavorate di Breonio giudicate false « Buli. di Paletn. Ital.  XXXI, 1.34, 13.8. Si veda ancora. su questo argomento, PIGORINI in « Bali. di Paletn. Itai. a XVI; GOIRAN. Stefano De Stefani, la sua vita, le sue opere <'Mem. dell'Accadeni. d'Agrie.Art. e Comm. di Verona» LXIX; OVINTARELLI, I1 contributo veronese alla scienza preistorica, Verona 1929. La questione si .pone rettamente cosi: se alcune almeno, le quali sa­ranno state le prime scoperte, delle cosidette selci strane siano o non autentiche.

9)  SI veda: PIGORINI, Continuazione della civiltà paleolitica nello età neolitica « Bali. di Paleta. Itai. XXVIII a e Gli abitanti primitivi d'Italia « Atti della  società Italiana per Il progresso delle Scienze, Roma 1910, 164, 16.5. - Per le caratteristiche, in generale, delle industrie li­tiche dei Lessini v. BATTAGLIA, Materiali peletnologici dei Monti Lessinii « Riv. di Antropol. » XXII e Selci campignane del Veneto « Bull. di Paletnol. Itai. » XLIII.

 

S.   Rocco di Marano di Valpolicella

 lì 31 gennaio 1931 - IX.