Tracce dell’esistenza di un tempio dedicato alla dea Minerva, si riscontrano già nei toponimi del luogo dove potrebbe trovarsi. Il Santuario posto sul versante sud del monte “Castelon” un tempo non lontano era chiamato Santa Maria di Minerbe. Lo stesso si può dire di San Rocco, pochi decenni fa chiamato Minerbe.
Fu per tale ragione che, incuriosito dal toponimo e da alcuni rinvenimenti effettuati da contadini della zona, Giovanni Gerolamo Orti Manara, appassionato studioso veronese di antichità vissuto nella prima metà del secolo scorso, promosse degli scavi archeologici che confermarono ben presto le ipotesi avanzate.
Il rinvenimento fu di straordinaria importanza in quanto al momento della scoperta l’area si presentò pressoché integra di elementi e arredi, per quanto ormai completamente in rovina. Purtroppo la metodologia d’indagine adottata – si trattò di uno sterro affidato a manovalanza locale – determinò, irrimediabilmente, la perdita di dati preziosi ai fini dell’interpretazione del sito e delle sue vicende storiche. Non fu comunque una mancanza da imputare allo studioso veronese in quanto quelli erano i sistemi di indagine adottati nel secolo scorso, quando ci si limitava a mettere in luce gli elementi strutturali e i reperti mobili di particolare ‘valore, senza fare alcuna attenzione alla loro collocazione topografica e stratigrafica.
Le ricerche vennero condotte nel 1835 e l’Orti Manara concentrò la propria attenzione nella località di Santa Maria di Minerbe, sita lungo le pendici occidentali del dosso del Castelon sulla cima del quale si trovano ora i ruderi di un castello.
La breve relazione degli scavi, apparsa nel «Bollettino di corrispondenza archeologica» del 1836 (ORTI MANARA 1836) riassume in poche righe la descrizione delle strutture e degli oggetti rinvenuti; nelle tavole di Giuseppe Razzetti (noto pittore mantovano che lavorò per Orti: MARCHINI 1972, 109-117), ora custodite presso la Biblioteca Civica di Verona, sono riprodotti la pianta dell’edificio individuato e alcuni degli oggetti recuperati. (tratto dal libro edito dal comune, Marano Valpolicella, 1999)
Nonostante l’accurata descrizione dei ritrovamenti, non è stato indicato il luogo esatto dov’era il tempio. La vegetazione e il progressivo interramento al momento non permettono l’individuazione dei ruderi.