Tempio della Dea Minerva
Dal giornale L’Arena
lunedì 18 dicembre 2006 provincia pag. 14
Marano. La Soprintendenza ai beni archeologici di Verona ha in programma una serie di scavi alla ricerca dei resti del santuario dedito ai culti delle divinità pagane
Il mistero del monte Castelon
Il Comune cerca il tempio di Minerva e chiede aiuto ai cittadini
Marano. Il Comune alla ricerca del tempio perduto. Tra storia e leggenda, sul monte Castelon, iniziano gli scavi per sollevare il velo di mistero dall’antico tempio dedicato al culto di Minerva Augusta, sui cui ruderi oggi sorge la chiesetta di Santa Maria Minerbe. Sospeso tra terra e cielo, in posizione dominante sulla pianura, il Castelon è luogo magico, ideale a scatenare nell’immaginario collettivo miti e leggende.
Leggende che nascono comunque da elementi reali, se è vero che ormai è storicamente assodato che qui in epoca romana si venerava Minerva e che nel medioevo gli scaligeri avevano un castello, anche se le ultime notizie certe sul sito risalgono agli scavi della prima metà del ’800.
Una lacuna culturale che sta ora per essere colmata dalla soprintendenza ai beni archeologici di Verona che, sollecitata dal Comune maranese, ha in programma una serie di scavi alla ricerca di nuovi elementi.
«Il merito dell’iniziativa», premette il sindaco di Marano, Simone Venturini, «è della locale pro loco e della sua grande opera di divulgazione, che sta sollevando crescente interesse tra la gente, soprattutto sulla storia del tempio a Minerva».
Il Castelon è un cocuzzolo che domina le valli di Marano e Fumane, abitato fin dalla preistoria. Il suo legame con i popoli di un passato ormai lontano, il mito del tempio pagano, i ruderi del castello medievale, la posizione isolata, la sua elevazione, ne fanno un luogo ricco di fascino che per la gente è motivo di suggestione.
«È un luogo più vicino al cielo che alla terra, dove la storia cristiana si è innestata senza soluzione di continuità su quella pagana», commenta Venturini.
«C’è qualcosa di misterioso ed affascinante lassù, che stimola ed attrae chiunque conosca il luogo. Anche per questo l’amministrazione è interessata ad andare oltre la leggenda. La soprintendenza proprio nei giorni scorsi ci ha assicurato che a dicembre partirà una ricognizione finalizzata ad individuare strutture archeologiche, di età romana e medievale, riferibili al santuario a Minerva o al castello». Per cercare però è importante conoscere e a tale scopo gli archeologi chiamano i maranesi e chiunque abbia vissuto, sentito o visto qualcosa, a collaborare.
«Cerchiamo persone che conoscano il luogo», spiega il sindaco. «In questi giorni ho parlato con diversi concittadini e molti di loro avevano una storia da raccontare. C’è ad esempio chi parla di una statuetta ritrovata e poi scomparsa, o chi ricorda di gallerie nelle quali in gioventù si addentrava. In effetti pare che le gallerie sotto la chiesetta siano più realtà che mito. Un contadino ci sarebbe caduto addirittura col trattore, arando i campi. I più anziani poi non hanno dubbi in merito».
È verosimile che il tempio di Minerva potesse avere una parte in elevazione e una interrata; e non è quindi escluso che i cunicoli siano ciò che resta di quest’ultima. Ma anche il castello, presumibilmente, era dotato di vie di fuga sotterranee. «Tutti questi elementi insomma, fanno ritenere che se sul Castelon si cerca, qualcosa si trova», continua Venturini.
«Faccio appello a tutte le persone che ricordano qualcosa, di contattare il Comune di Marano e mettere a disposizione dei tecnici le loro testimonianze». Quello che oggi si conosce sul tempio di Minerva risale addirittura al 1836, quando lo studioso veronese Giovanni Gerolamo Orti Manara effettuò una serie di scavi archeologici, incuriosito sia dal toponimo (Minerbe), sia dai ritrovamenti fatti da alcuni contadini, che portarono alla luce qualche angusto ambiente e un portico di quello che appariva come un tempio pagano.
«La principale conferma che l’edificio messo in luce dall’Orti Manara fosse realmente un santuario», assicura Cristina Bassi, coautrice del libro “Marano di Valpolicella”, edito nel ’99 a cura del Comune, della Banca della Valpolicella e del Centro di documentazione per la storia della Valpolicella, «venne dalla scoperta di un consistente numero di iscrizioni sacre, tra le quali una lastra che definisce l’edificio fanum, cioè un santuario extraurbano. La distruzione del tempio potrebbe risalire ai tempi dell’imperatore Onorio (quarto secolo) e probabilmente è stata provocata da un disastroso incendio, come attesta un livello di carboni e cenere trovato a contatto del pavimento».
Bassi prosegue: «È possibile che l’abbandono sia avvenuto a causa della distruzione intenzionale a opera di cristiani che volevano in questo modo cancellare i luoghi sacri pagani». Ma la gente di allora non aveva fatto i conti con la gente di oggi. Il tempio perduto potrebbe tornare a nuova vita quasi duemila anni dopo quel rogo purificatore.
Gianfranco Riolfi