PASTORE. Dal 1992 alla morte, nel 2004, una palazzina donata alla diocesi ospitò il prelato
Piccola parrocchia di campagna ma con un vescovo
Gianfranco Riolfi
Monsignor Giuseppe Amari dopo aver organizzato la venuta di Giovanni Paolo II a Verona si ritirò «da pensionato» in paese
Martedì 06 Aprile 2010 PROVINCIA,
Monsignor Amari, il vescovo e un maranese come tanti. Giuseppe Amari, vescovo di Verona, un uomo di fede, di cultura e di stile. Nato il 18 settembre 1916 tra il Po e la piatta geografia mantovana, veronese d’adozione perché inviato sulla cattedra di san Zeno, dopo avere lasciato il governo pastorale aveva scelto di ritirarsi in Valpolicella. Qui, tra i su e giù di Marano, dove, unica lementela da mantovano, «andare in bicicletta è difficile», morì domenica 8 agosto 2004 con il conforto di quella che ormai era diventata la sua gente.
Era arrivato in paese il 27 settembre 1992, dopo avere consegnato il pastorale ad Attilio Nicora, oggi cardinale a Roma. Per quella che doveva essere la sua pensione, anche se poi in realtà ha servito la diocesi di Verona per molti anni, aveva scelto la pace di una casa ereditata come dono dalla diocesi. Una palazzina senza pretese fuori dal capoluogo, sulla strada che sale verso Torbe, da dove si dominano la Valpolicella dei vigneti e del vino e, più lontana, la Bassa segnata dai pioppeti, dalle acque dei fossi e dei grandi fiumi.
Da lì, a mezza strada tra monti e pianura, s’intravede anche Verona, da dove Amari guidò la diocesi dal 1978 al 1992 «con umanità stile e nobiltà», come ebbe a ricordare il suo successore Nicora, ma anche con arguzia e una buona dose di ironia.
Nel 1990 il vescovo si era pubblicamente offerto come ostaggio ai rapitori al posto di Patrizia Tacchella, figlia di Imerio, re dei jeans Carrera, sequestrata da settimane. Il giornale satirico [FIRMA]Verona Infedele, diretto dal geniale Cesare Furnari, dedicò la copertina ad Amari, raffigurato sotto il titolo «Prendete me!» con treccine e orsacchiotto di peluche. Tutto poi finì bene: i banditi, una banda di mezzi balordi, vennero scoperti e Patrizia fu liberata dalla polizia.
Ma, intanto, la copertina aveva indignato molti benpensanti. Non Amari. Colse l’occasione della prima intervista all’Arena per dichiarare che Verona Infedele, lui, «l’aveva già perdonata». Così il mese successivo quegli infedeli se ne uscirono con un nuovo slogan sotto la testata: «L’unico giornale ufficialmente perdonato dalla diocesi».
Amari metteva ironia anche nella quotidianità. Ricorda Linda Spada, del mulino che si trova davanti alla ex casa del vescovo: «Succedeva che la macina si bloccasse per la rottura di qualche cinghia. Allora tra mio zio e mio fratello volava qualche parola di troppo. Un giorno il vescovo passò davanti al mulino proprio durante uno di questi alterchi. Naturalmente la cosa ci creò non poco imbarazzo. Ma lui, con la sua consueta pacatezza, sorrise: “Quando si lavora le parole sono tutte confessate e perdonate”»
IRONIA Ironico, affabile e curioso. «Entrava nel negozio e si interessava delle sementi, degli ortaggi, delle cipolle, dei tempi di semina o di come concimare», continua Linda Spada. «Faceva vita di paese e come tutti qui si preoccupava della salute dei compaesani o dell’andamento del tempo in funzione del raccolto. Diceva messa quando il parroco don Espedito Albarello era impegnato. Sapeva farsi voler bene. A chi non lo conosceva si presentava come “un parrocchiano di don Espedito”». La porta della casa vescovile era aperta a chiunque. «Non ha mai mandato via nessuno, trovava sempre una parola o il modo di aiutare. Andava a cresimare o a officiare in tuttala provincia. Ladomenica sera quando rientrava a Marano talvolta suonava il campanello per salutarmi e mi diceva: “Quando arrivo a San Floriano comincio a respirare l’aria di casa”».
Gli ultimi tre anni di soggiorno in Valpolicella furono segnati da una grave malattia. Il segretario, don Calisto Barbolan, e le suore Amabile e Amalia lo hanno amorevolmente accudito fino alla sua morte. L’infermiera Roberta Zardini con il suo collega Fabrizio Zanotti erano incaricati di assisterlo. «Monsignor Amari ha affrontato la malattia con dignità», sottolinea l’infermiera, «accettando la sua condizione con grande serenità». Quella grande serenità che aveva accompagnato il suo lungo cammino apostolico, tra fedeli e infedeli.