La chiesetta campestre di Sant’Eustachio in contrada Prognol avrebbe secondo Silvestri (SILVESTRI 19834, 129) origini romaniche: ipotesi che ci sentiamo, nonostante la mancanza di documenti scritti atti a sostenerla, pienamente di condividere dopo averne esaminato la struttura, espressione inconfondibile pur nelle manomissioni di un’architettura romanica minore i cui esempi non mancano certo in Valpolicella (D’ARCAIS 1986-87, 33-40). La prima attestazione scritta della chiesa ci viene comunque dalla visita pastorale di Ermolao Barbaro nel maggio del 1458, in occasione della quale apprendiamo pure che durante la settimana viene a celebrarvi il parroco di Marano (ASCDVr, VP Barbaro, trascr. Crosatti, XXVII, c. 531). Le successive visite del Cinquecento non aggiungono molto: negli Ordinata, ossia le prescrizioni da parte del visitatore sul da farsi, degli anni 1532 e nel 1553 si raccomanda la riparazione del tetto (FASANI 1989, II, 1062; ASCDVr, LV, XII, c. 125), mentre in quegli del 1573si invita la gente del posto a riparare la chiesa e a dotarla dei paramenti necessari alla celebrazione della messa. Un lungo silenzio per tutto il Seicento e finalmente proprio dall’ultima visita del secolo, nel maggio del 1699, veniamo a conoscenza dell’avvenuta sospensione dell’oratorio che ora il vescovo, rivolgendosi al proprietario Antonio Lorenzi, invita a riparare e rendere atto alla restituzione al culto (Ivi, XXXIII, c. 32v). Ma le sollecitazioni vescovili non dovettero sortire eVetto così che nella visita seguente, nell’ottobre del 1717, il nostro si presenta ancora sprovvisto di tutto, adibito persino a deposito di verdure e così malridotto che il vescovo si rivolge nuovamente alla pietà dei proprietari, sempre la famiglia Lorenzi, perché non permettano che vada del tutto in rovina e sia mortificato dall’uso per scopi profani (Ivi, XLVII, c. 52v).
L’invito, se pur non così tempestivamente, venne accolto, la chiesa sistemata a dovere e finalmente nel 1755 don Giovanni Battista Lorenzi inoltrava supplica a che venisse tolta la sospensione (Ivi, LX, c. 33v).Questa venne accolta e la visita del 1764 ci parla di un oratorio decoroso, dove si celebra per devozione, con altare marmoreo e icona, coro che serve da sacrestia ben provvista di paramenti e sacre suppellettili (Ivi, LXXVI, cc. 13v-14r). Con il tempo la chiesetta dovette però ricadere in un totale abbandono ed essere nuovamente sospesa finché nel 1850 non venne ancora una volta restituita al culto dalla pietà del recente proprietario Giovanni Battista Buella (Ivi, ApD, b. Marano; al riguardo si veda anche la scheda di Maria Giuseppina Furia in questo stesso volume). Ora il vetusto tempietto, ridotto a ricovero di attrezzi, versa in uno stato di pietoso abbandono e mostra i segni di un degrado che comunque non impedisce di scorgervi i segni della primitiva architettura romanica. Esso ha la facciata, orientata come di regola a ovest, a capanna dove si apre l’unico ingresso rettangolare con semplici stipiti e architrave in tufo, che parrebbero originali; mentre più recenti, risalenti ai restauri di metà Settecento, sono una nicchia, presumibilmente sovrappostasi all’occhio originario, la finestrella circolare, versione modesta del rosone nelle chiese romaniche, e la finestra a mezzaluna che la sovrasta. Il lato meridionale presenta altre due finestre rettangolari con cornici in tufo, aperte sempre in occasione dei restauri di cui s’è detto; quello settentrionale non è più visibile dopo la costruzione del cascinale che vi si addossa, forse l’abitazione di un eremita ricordato ancora nel Quattrocento (ROGNINI 1985, 108; VARANINI 1985, 255), e sul cui tetto sta un campaniletto; sul lato orientale, infine, la classica abside romanica a pianta semicircolare. [g.s.]
(tratto dal libro edito dal comune, Marano Valpolicella, 1999)