SALVE. Dai tempi antichi la processione annuale al santuario di Santa Maria Valverde era annunciata alla valle dal fragore degli innocui fuciloni ad avancarica
Tradizione rinata Così i tromboni tuonano di storia
Bartolo Fracaroli
Risalirebbe al 1500 l’usanza di solennizzare processioni e feste con il fragore delle esplosioni A ogni sparo si deve ripetere il rito
Martedì 06 Aprile 2010 PROVINCIA, pagina 29 e-mail print Ragazzino in Valpolicella, un 25 aprile, andavo a cercar fossili nello splendido vaio dei Pangoni, dalla valle dei Progni di Fumane, su a Cavalo, a 600 metri di quota, quando, per tutto il pomeriggio, sentii dei botti tremendi ingranditi dall’eco. Venivano dalla cresta di fronte, quella del crinale che da San Floriano di San Pietro in Cariano sale al santuario di Santa Maria Valverde (537 metri sul livello del mare) seguito dal monte Castello (591). Il giorno dopo ci arrivai dalla mulattiera romana della Tenda. Sparavano a salve, per la processione di San Marco attorno il monte, una batteria di archibugieri con dei fuciloni enormi, imbracciati verso il basso, che nel rinculo facevano roteare le persone e gli cadevano sulla spalla sinistra dentro una nuvola acre di polvere nera. Ci raccontò tutto un anziano che ne possedeva uno, eredità di famiglia. Peso 50 chili, calcio in ciliegio, frassino o noce con intarsi d’ottone, canna in bronzo e bocca a campana istoriata.
C’era un’intera batteria di sparatori, avevano un berrettone da bravo manzoniano, uno straccio di sacco legato alla gamba destra per non ustionarsi, una strana divisa campestre, un fazzolettone coloratissimo legato al fucilone. Si confessavano e ascoltavano messa prima della cerimonia, venivano benedetti con le loro armi innocue ma fragorose, obbedivano a un caporale che dava loro il turno di sparo. Era l’antico confine fra il profano, il pagano e il sacro, il tuono simulato apotropaico, esorcizzante di belve, demoni e malintenzionati, il segnale ripetuto in valle dei pericoli, l’allarme esorcistico per le calamità, la fede ribadita e protetta, l’orgoglio dell’appartenenza a una comunità coesa che si ritrovava alla processione dell’antica statua della Vergine e Madre su di un baldacchino nel periplo del Castellon, con seguito dei trombonieri.
I tromboni di Santa Maria Minerbe erano all’opera una volta l’anno davanti a un panorama sconfinato cui le potenti esplosioni comunicavano: ci siamo anche noi, siamo in festa attorno alla nostra chiesa, terrifici e inoffensivi, potenti e ammonitori.
Passarono gli anni e agli inizi del lavoro come giornalista proposi un servizio alla Rai regionale; raccogliemmo foto, concordammo tutto. La miseria era tanta, le campagne non rendevano nulla, molti tromboni erano finiti dai rigattieri, occorreva la polvere da sparo: la Rai non volle comprarla, non se ne fece nulla. Altri anni. Un regalo di un tromboncino da Vittorio Ugolini di Fumane. Santa Maria Valverde (o Minerbe) sempre luogo bellissimo con i suoi baratri, trinceroni ad opus reticulatum e pozzi di crollo dovuti a un tempio di Minerva (documentato dal Da Persico) e ai ruderi di un castello scaligero su di un sito preistorico, ora in scavo, che risale a mille anni avanti Cristo.
PROCESSIONI La tradizione folcloristica era comune a tutta la fascia collinare della Valpolicella e si estendeva alla media Lessinia fino oltre il Vicentino. Più avanti nacquero (rinacquero) associazioni di pistonieri a Badia Calavena, San Bartolomeo delle Montagne e Crespadoro: anche in val Leogra, ma il 25 aprile a Marano si taceva, anzi, le processioni venivano contrappuntate da palloncini di gomma fatti esplodere con il tizzone delle sigarette.
Vennero da San Bortolo a sparare qualche anno, poi nel 1990 arrivò Tullio Campagnola di Purano, generale degli alpini in pensione, attivissimo tuttora. Un tipo prammatico. Non si può più sparare, per la legge sulle armi che prevede siano tutte immatricolate? D’intesa con i carabinieri di Negrar, il generale fece allora portare i tromboni al Banco di Prova di Gardone Valtrompia: tutti punzonati e registrati in questura. Ne sono rimasti pochi. C’era chi li faceva a Marano (il Caprini di Canzago) e a Badia. Nel 2001 nacque l’associazione Tromboni Santa Maria Valverde (altrove li chiamano trombini) e da Pezza, San Rocco, Progòl, Purano, Valgatara e dal capoluogo, tornarono i discendenti dei vecchi sparatori, eredi della tradizione, convinti a mantenerla. Erano i Borghetti, Boldo, Lonardi, Marchesini, Cardini, Fasoli, Coati che si vedono nelle vecchie foto salvate che pubblichiamo. Campagnola da soldato comandava 12 pezzi d’artiglieria, adesso ne ha altrettanti, pacifici, augurali, a salve.
Il prossimo 25 aprile si ricorderanno tutti i trombonieri del Veronese, interverranno anche i colleghi dell’Est, saranno almeno 20 i tromboni terrifici e innocui sul cocuzzolo dell’archeologico Castellon costellato di boschi, vigneti, prati aridi e querce.
Resta il mistero dell’origine di queste armi pacifiche: per Pier Paolo Brugnoli risalirebbero addirittura al 1500, probabilmente armi da tiro trasformate in segnali inequivocabili, adesso solo s-ciòpi da sagra.
MIRACOLATI In canonica alla chiesa di Santa Maria Valverde era conservata la fotografia, ex voto, Martedì 06 Aprile 2010 PROVINCIA, pagina 29
MIRACOLATI In canonica alla chiesa di Santa Maria Valverde era conservata la fotografia, ex voto, per grazia ricevuta, che riproduciamo qui a destra. Ai piedi degli uomini, due dei quali imbracciano i tromboni, si vedono i pezzi dei due tromboni esplosi senza conseguenze il 3 maggio 1925. I vecchi ci confidarono il perché: la gara era a chi faceva il botto più forte, il segreto era miscelare alla polvere nera del coccio macinato, l’effetto di lancio sarebbe stato sostituito da quello di scoppio. Troppa carica, e i tromboni scoppiarono. Si legge nella dicitura originale della fotografia: «Il 3 maggio 1925, alle ore 15, mentre sfilava la processione intorno al Castellon colla statua della Madonna due tromboni si spaccarono, il detto Tomelin andò in frantumi, lasciando affatto illesi quei ddello sparo e loro compagni. Un tal fatto viene attribuito a grazia singolare della portentosa Madonna di S. Maria di Marano ed in questo ritratto si lascia ai posteri riconoscente memoria del fatto miracoloso». I ritratti sono Celeste Lavarini, Giuseppe Lonardi, Anselmo Brunelli, Angelo Lonardi e Michele Spada.