Storia e Leggenda
Superficie del Comune Ettari 1762. Abitanti: nel
Comune 2869; nella parrocchia 1840;
sul livello del mare m, 326; da Verona Km.- 17; da S. Pietro in Cariano
Km. 9; dalla stazione di S.- Floriano Km. 6.
Il tempio della "Dea Minerva,,
Gli abitanti della valle di S. Ambrogio, Fumane e
Marano nei primi tempi della conquista romana si chiamavano <<Arusnates
>>. Gli Arusnati, pagani, avevano le loro divinità fra le quali
<<Minerva Augusta >> a cui innalzarono un tempio in Marano. Il terreno
risulta concesso come votivo per decreto dei Decurioni Veronesi (1).
I ruderi di questo tempio si possono vedere anche oggi nella parte più
a mezzogiorno dell'attuale Castellon. Il tempio di S. Maria di
Minerbio, con tutta probabilità, diede origine al nome della retrostante
contrada di Minerbe detta pure attualmente S. Rocco.
Origini
La tradizione popolare ci narra come il console C.
Mario che l'anno 102 a.c. aveva trionfato dei Teutoni, saputo che le
vicende di guerra del collega Lutazio Catulo, andavano poco bene, da Roma,
mosse contro i Cimbri che arrivati sopra Trento scendevano dalle Alpi,
slittando sugli scudi.
C. Mario ricongiuntosi al collega diè battaglia ai Cimbri, e ne riportò
vittoria. Più di 100 mila ne furono uccisi e 60 mila caddero prigionieri.
I Veronesi che molto avevano aiutato la vittoria, uscirono ad incontrar
Mario ed in trionfo lo condussero in città. Fermatosi qui ordinò la
fabbrica di un castello in Valpolicella, che in onor del suo nome fu
chiamato Mariano. La leggenda popolare mostra ancora i ruderi del Castello
nella località <<Castellon>> in Marano alto e spiegherebbe l’origine del
nome dato al nostro Comune.
Nel medio evo
Nel l283 Marano era Comune e il Sindaco di esso
compieva alcune locazioni: in una di queste fra i confini è ricordata <<marogna
quae fuit facta occasione forteze castri Marani>> (2).
Nell'epoca della Signoria Scaligera la Valpolicella fu costituita
in feudo a Federigo della Scala cugino di Can-Grande che assunse il titolo
di conte della Valpolicella. Egli aveva il suo castello in Marano. Questo
venne a lui confermato l'11 febbraio 1311 da Enrico VII a Milano, per la
sua devozione verso l'imperatore. Nell'atto scritto dal notaio Iasco si
legge: <<il castello di Marano in Valpolicella con le giurisdizioni,
onori.... >>.
Forse questo fu un ampliamento dell'antico castello di Mario, o fu
edificato sui ruderi di quello. Forse Federigo della Scala, governava il
suo feudo della Valpolicella, dal castello di Marano e Marano assurse
allora ad un posto non indifferente.
Nell'estate del 1325. ammalatosi gravemente Can-Grande, in modo che si
disperava della sua guarigione, Federico non contento del suo feudo della
Valpolicella cercò di farsi riconoscere signore, di tutta la Signoria
degli Scaligeri, a danno degli eredi legittimi. Ma un insperato
miglioramento di Can-Grande gli fece espiare il tentativo con la prigione
e il bando che venne dato a lui e a tutta la sua famiglia il 14
settembre di quell'istesso anno.
Il castello di Marano venne abbattuto e non risorse più ed ancora oggi
rimangono notevoli traccie della sua rovina che si possono vedere nella
parte verso sera del monte Castellon.
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Cessata la Signoria degli Scaligeri nel 1402 dopo varie
vicende Verona per spontanea dedizione passo alla Serenissima Repubblica
di Venezia sotto della quale i paesi della provincia si chiamavano
Vicariati. Il Vicariato della Valpolicella ebbe la sua sede in S. Pietro
Incariano e si compose di tre Piovadeghi (chiese matrici con fonte
battesimale) di S. Giorgio, S. Fioran e Nègrar. Marano fece parte del
Piovadego di mezzo cioè di quello di S. Fioran.
Un eroe: Jacopo da Marano
Quando nel 1439 scoppiò la guerra tra i Veneziani ed il
duca di Milano (Filippo Maria Visconti) era Vicario della Valpolicella
<<Giacomo da Marano>> nobile e superba figura di cittadino che dovrebbe
essere ricordato con orgoglio da tutti i Maranesi.
Il marchese di Mantova Francesco Gonzaga alleato del duca di Milano,
riuscì insieme a Niccolò Piccinino comandante l'esercito dei Milanesi,
notte tempo ad impadronirsi della città - mentre i soldati della
repubblica di Venezia rimanevano assediati nei castelli di S. Pietro e S.
Felice.
Il Gonzaga, accompagnato dal Piccinino e da moltitudine di soldati e di
popolo sempre vario e mutabile, andò nella piazza dove al suono di trombe
tamburi e campane fu salutato Signore di Verona e di tutto il territorio.
Il Gonzaga si accinse subito ad occupare la Chiusa d'Adige per impedire,
ai Veneziani comandati da Francesco Sforza che in quel momento era a
Torbole sul Garda, di venire in soccorso della città.
La guardia della Chiusa era stata dai Veneziani affidata a Giacomo da
Marano
Il Gonzaga conscio della difficoltà dell'impresa, avendo inteso di quanta
autorità fosse nella Valpolicella Giacomo da Marano e quanto da tutti quei
contadini fosse amato ed onorato gli mandò alcune persone distinte, che
gli facessero intendere come avendo la notte precedente occupato Verona
aveva in sua podestà la moglie ed i figliuoli e che se non avesse fatto di
assicurargli il possesso della Chiusa avrebbe dato la moglie in preda ai
soldati e fatto strage dei figli.
Giacomo da Marano che svisceratamente amava la patria, non si smarrì punto
per quelle minacce e cacciati da sè gli ambasciatori del Gonzaga disposto
a morire piuttosto che a tradire la sua terra, andò con grandissimo numero
di contadini ad incontrare lo Sforza, che saputa la caduta di Verona era
partito con tutto il suo esercito da Torbole.
Lo Sforza si incontrò con Giacomo da Marano alla Chiusa. Pernottò con lui
a S. Ambrogio ed il dì seguente 20 novembre 1439 mosse su Verona, assalì e
sconfisse i nemici e liberò la città.
Grandi onori furono tributati allo Sforza ed ai suoi collaboratori tra i
qua1i ebbe il meritato posto il nostro Giacomo da Marano. Il ricordo della
sua fierezza e del suo valore non si spense. Il suo nome rimase come
simbolo delle virtù della valle e parecchi secoli dopo era ancora
onoratamente ricordato (1).
Gli estremi si toccano
Il "recioto,, apprezzato e stimato dagli
antichi
La corte ostrogota che fu per molti anni a Verona prima
di trasferirsi a Ravenna, deve aver imparato a conoscere ed apprezzare
alla fonte i nostri vini. Cassiodoro, ministro di Teodorico, così parla
del nostro <<recioto>>.
Premesso che dovevasi procurare per la regia mensa le più rare cose, e che
detto vino nella corte scarseggia ordina ai dipendenti dì portarsi dai
Possidenti veronesi che di tal vino hanno singolar cura acciocchè ricevuto
il competente prezzo, niuno ricusi di vendere ciò che al principe deve
servire. E così lo descrive " Spezie di vino degna che se vanti l'Italia.
Questo è puro per sapor singolare, e per colore. La dolcezza in esso si
sente con soavità incredibile, si corrobora la densità per non so quale
fermezza e s'ingrossa al tatto in modo che lo diresti un liquido carnoso o
una bevanda da mangiare.
Scelta in autunno l’uva dalle viti, sospendesi rivoltata, conservasi in
vasi e negli ordinari repositori si custodisce. S'indura col tempo, non si
liquida; trasudando allora gli acquei umori addolciscesi. Tien'si fino a
dicembre finchè l'inverno la faccia scorrere e con meraviglia cominci il
vino ad esser nuovo, quando in tutte le cantine si trova già vecchio -
mosto invernale, freddo sangue dell'uva, liquor sanguigno, porpora
bevibile, violato comincia a parere pur sempre nuovo.... Oltre al piacer
dolce, singolare è nella vista la sua bellezza >>.
Dopo 14 secoli ripetiamo altrettanto. Oggi vecchio, fa le libazioni per
la chiesa nuova.
Sac. MICHELE CASTELLANI - maestro
- Corpus Inscriptionum Latinorum - Teodoro Mommsen
- A. Archivi Veronesi – L. Simeoni Federigo della
Scala – T. Brugnoli Valpolicella
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