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DALLA
PREISTORIA ALLA STORIA
a cura di
OLINDO FALSIROL
La
presenza dell'uomo sui Lessini risale, in quanto è dimostrabile, a
un
16o
mila anni
or sono, quando la pianura del Po si estendeva fino a coprire tutta
la parte superiore dell'Adriatico e quel fiume sboccava in mare a
metà, circa, d'una linea che si tiri fra Zara e Ancona. Tuttavia,
della vita sociale di quei remoti abitatori dei nostri monti, che, a
partire da allora e per tutto il restante periodo glaciale
lasciarono qualche esigua traccia di sé a S.
Anna d'Alfaedo
e tracce
più significative e sicure a
Quinzano,
ben poco
sappiamo.
Per avere
maggiori notizie della Lessinia preistorica, dobbiamo arrivare a
qualche millennio a. C., a una epoca, cioè, a noi relativamente
vicinissima.
,La
configurazione orografica era ormai quella attuale, ma, senza
dubbio, più fitta e pressoché continua la copertura boschiva, più
numerose e abbondanti le sorgive, più varia e ricca la fauna
selvatica. La rappresentavano, tra l'altro, tutte le famiglie di
mammiferi che ancor oggi vivono nella regione o che potrebbero,
almeno in certe sue parti, continuare a viverci, se, come p.e.
l'orso bruno, il cervo, il capriolo, il cinghiale e il lupo, l'uomo
non le avesse distrutte o costrette a cercarsi altre sedi.
In un'area
compresa, così a un di presso, tra la valle di Tregnago e il
vaio
di Mezzo a
oriente, la Purga di Velo, al Ceré e il territorio di S. Anna a
nord, la valle dell'Adige a ovest, Montorio e Quinzano a sud,
avevano stanza popolazioni legate da una comune economia. Usavano
infatti, tra l'altro, certi strumenti (armi e arnesi) di pietra
delle medesime fogge, chiamati, nel loro complesso, « industria
campignana » perché hanno un parziale riscontro tipologico nella
regione di Campigny, in Francia.
Orbene,
strumenti del genere vennero alla luce, per la prima volta
(1929)
nel Comune
di Marano, nel fianco orientale del
Castelon,
là dov'era
in antecedenza stato praticato uno scavo per estrarne marmi per le
colonne della nuova chiesa. Un
15
anni più tardi, altri se ne
rinvennero nella parte sottostante alla vetta e che degrada in
direzione sud-ovest.
La civiltà
campignana, che si classifica, pur con caratteri propri, tra le
civiltà neolitiche o civiltà recenti della pietra, lasciò numerosissimi
resti in diverse località della Lessinia. Nel territorio di Marano,
ne furono scoperti, oltreché sul Castelon, anche a Ravazol, a monte
Pér e, soprattutto, a
Boschetti
che è, in sostanza, un contrafforte meridionale del Castelon stesso.
I «
Campignani » non abitavano in grotte, ma in capanne a fior di terra,
esposte al sole e in luoghi riparati dai venti, e, pur restando
prevalentemente cacciatori, cominciavano con ogni probabilità a
coltivare qualche graminacea inferiore da grano, servendosi, per
lavorare il terreno, del bastone appuntito di legno duro e della
zappa con la lama di pietra. Quali fossero il loro ordinamento
sociale e le loro credenze e pratiche magiche e religiose ai tempi
del loro primo insediamento sui Lessini, del quale ci essere
soltanto oggetto di congettura.
In linea
di pura, e alquanto audace, ipotesi basata sul paragone col
complesso culturale di odierne popolazioni « selvagge » che si
trovano in analoghe condizioni economiche (agricoltura incipiente,
strumenti litici di simile fattura e forma), possiamo ritenere che
il loro ordinamento fosse orientato verso il predominio giuridico
(indirettamente e limitatamente anche politico) della donna e che la
loro religione fosse un culto reso ai Morti, alla Terra e alla Luna.
La civiltà campignana sta alla
base dello sviluppo preistorico della Lessinia, e dura, almeno per
quanto riguarda l'uso di certi suoi tipici strumenti di pietra, fino
a inoltrata civiltà del bronzo; ma è, assai per tempo, raggiunta da
civiltà con cui essa appare, quasi ovunque sui nostri monti (sebbene
non assolutamente ovunque), intimamente mescolata.
Quest'ultime civiltà, anch'esse
neolitiche, provenendo dall'Asia per le vie del Danubio, penetrarono
nel Veneto a più ondate a partire dallo scorcio del IV millennio a.
C.; e furono seguite da altre, eneolitiche, con cui rapidamente si
fusero. Eneolitiche sono le civiltà che usano, con lo strumento di
pietra, quello di rame.
Strumenti di pietra lavorati con
la tecnica neo-eneolitica, distinta come tale dalla campignana che
potremmo dire vetero-neolitica, furono raccolti nel comune di
Marano, ancora sul
Castelon e a
Boschetti, oltreché a
Castel Besin (a sud di
Vagialta di sopra) e alla
Porcarola, un
vegro situato tra il
vaio di Roasso e la
Valsorda e che si spinge, da sopra la località detta Ciacalda, in
direzione di Ca' dei Loi.
Le industrie neo-eneolitiche
segnano, sui Lessini, il massimo sviluppo della litotecnica e il suo
affinamento, attestato soprattutto dalla produzione di cuspidi di
freccia e di lancia minutamente scheggiate e ritoccate, e da quella,
per quanto assai ristretta, di asce levigate di durissime rocce
verdi. Con quest'ultime, altri nuovi strumenti appaiono, tra cui,
significativo, il falcetto di pietra, mentre s'incomincia a usare
qualche oggetto di rame.
Durante questo sviluppo, si
affermano la ceramica e l'agricoltura e l'allevamento di pecora,
capra, bue, maiale e polli. Il cane era probabilmente in possesso
già dei più antichi Campignani. Il cavallo entrerà in scena alquanto
più tardi. Sorge il villaggio vero e proprio. L'organizzazione
sociale si consolida. Le relazioni commerciali, particolarmente con
la pianura, s'intensificano. La religione è soprattutto culto del
Sole e dei Morti. I cadaveri vengono sepolti in fosse rivestite di
lastre di pietra, e si dà loro un corredo di armi e di arnesi dei
quali dovranno servirsi nell'aldilà: un uso il cui significato
oscilla tra il simbolo e la realtà, e che indica, comunque, la
credenza in un'esistenza postmortale dell'uomo. Tombe del genere
furono trovate, in questo territorio, a
Mandrago e a
Castel Besin.
Lo scorso anno (1966) si
rinvennero a Zivelongo
(alto
vaio dei Progni) dei
dolmen: cioè blocchi,
o lastroni, di pietra posti orizzontalmente su dei supporti
verticali, pure di pietra, e destinati di regola a proteggere
delle
sepolture collettive. Si protraggono dall'eneolitico fino in epoca
protostorica.
Avanzi
della successiva età del bronzo (siamo ormai nel II millennio a. C.)
sono forniti, su questi monti, frequentemente da grotte. Si
cominciano a fortificare gli abitati dei luoghi aperti, mentre i
piccoli gruppi isolati preferiscono la grotta, più facile a
difendersi: segno che qualche pericolo incombe da parte di
invasori.
Per quanto
riguarda ancora il territorio maranese, ricorderemo che alcuni dei
suddetti avanzi, come frammenti di ceramica e di asce di bronzo,
furono scavati
(1931)
nel covolo
detto
Buso Streto, in
località
Ciacalda.
Allo
svolgimento di questo periodo partecipa anche il
Castelon.
Durante i
lavori per la nuova strada Pezza S. Maria, vennero in luce lo scorso
anno (1966) resti riferibili, sembra, alla fine di quest'età e agli
inizi di quella del ferro. Il riferimento ha una certa rispondenza
archeologica nel fatto che, sulla sommità del monte, vi sono tracce
d'un probabile castelliere: uno dei tanti fortilizi costituiti da
muri a secco situati su alture e diffusi nelle Venezie in un periodo
che, nei suoi inizi, sta appunto a cavallo tra l'età del bronzo e il
principio di quella del ferro. Ivi sono anche i ruderi di
costruzioni romane e d'un castello medioevale. Confusamente la
tradizione popolare identifica questo complesso con un « Castel de
Mario »; e tramanda che vi sia nascosto un favoloso tesoro. Di che «
Mario » si tratti, è aperto alla congettura.
Frequentemente lungo le ripide pareti del cono superiore del monte e
alla base di tale cono e, inoltre, nei campi di quel contrafforte
del monte stesso che sovrasta la strada Pezza - S. Rocco e vien
detto
Casteleto, si
rinvengono
frammenti di vasi della seconda età del ferro. Furono trovati fra
essi delle fibule (fermagli) di bronzo e di ferro del tipo « La Tène
» (dal nome della località svizzera, donde, a partire da circa il
5oo
a. C.,
s'irradiarono particolari elementi culturali). È possibile che,
lungo il decorso dell'età del bronzo e di parte di quella del ferro,
poiché erano tempi d'invasioni e di guerre, gli abitanti delle
adiacenze del Castelon si trasferissero, almeno durante certi
periodi, su questo monte e sul Casteleto, sotto la protezione di
fortilizi, e che solo in seguito stabilissero definitivamente la
loro dimora nelle località aperte dove ora si trovano le tre
contrade di
Pezza, S. Rocco
e
Purano.
Con lo
svolgersi dell'età del bronzo e, successivamente, di quella del
ferro, tutta la regione lessinica segue, sebbene con notevolissimo
ritardo, il progresso che via via si afferma nella pianura veneta.
In questa vengono incontrandosi, e si contrastano o parzialmente si
fondono, correnti etniche diverse. Si moltiplicano le vie di
comunicazione terrestri e fluviali parallelamente col diffondersi
del carro e col perfezionarsi dei mezzi nautici. L'aratro si fa
pressoché universale. S'affacciano la scrittura, la moneta, íl
politeismo. E, come sviluppo dell'antico borgo eneolitico, centri
industriali, commerciali e politici, sorgono le città: tra le altre,
per tacere di quelle del litorale, Padova ed Este, antichissime, e,
ai piedi dei Lessini, Verona, confluenza, secondo la piú antica
tradizione raccolta da Plinio e da Strabone, di Reti e di Euganei.
Si entra così gradatamente nella storia.
In età
romana, la Valpolicella era occupata da genti di oscura appartenenza
etnica, che chiamavano se stesse
Arusnates. I
documenti
che ne attestano la presenza sui nostri monti sono un centinaio di
epigrafi, di cui un certo numero convengono nomi di divinità. Di
questi, alcuni sono latini, come
Vesta, Iupiter, Sol et Luna, Saturnus, Minerva, Iuno. È
da
supporre, con fondamento, che tali nomi latini abbiano sostituito
nomi di corrispondenti divinità arusnati.
Ora, sul
Castelon sorgeva un tempio dedicato a Minerva; la quale era, in
Roma, dea dell'intelligenza, vergine e protettrice delle arti e
delle scienze, come pure di tutti i lavori femminili: protettrice
della pace, dunque, anche se della pace dopo la vittoria.
Il tempio
era situato sul pendio del monte che guarda a S. Rocco. È
interessante ricordare che, fino a circa un
5o
anni fa,
questa contrada i vecchi la chiamavano preferibilmente
Minerva,
oppure
Minerbe;
e che, nei
primi decenni del secolo scorso, essa era, nella denominazione
popolare predominante,
Santa Minerba.
Il tempio
in parola si trovava a sinistra di chi, scendendo dalla chiesa di S.
Maria, si diriga a S. Rocco per la stradetta che percorre il
versante meridionale e poi quello orientale, del monte. Precisamente
sorgeva un poco addentro dove ora è la
coara,
spesso
ridotta a cavedagna, che viene imboccata dalla processione quando
questa, nel giorno della festa della Madonna, gira attorno al monte
stesso. Fu scavato nel 1836; e se ne misero in luce molti resti di
cui alcuni come frammenti di colonna e di pavimento, erano visibili,
sparsi al suolo, ancora nel 1929. Tra quelli raccolti e che ora si
trovano a Verona, deve menzionarsi un'epigrafe - di eccezionale
importanza, perché permise a
B. BORGHESI, un
celebre archeologo di allora, di supporre che
Caio Masurio Sabino, grandissimo giureconsulto dell'età
di Tiberio (47
a.C. -
37
d.C.), fosse originario di quella città o del suo territorio.
La distruzione del tempio avvenne probabilmente sotto Onorio (m.
nel 423 d.C.),
quando già il cristianesimo era stato dichiarato religione
ufficiale e ogni culto pagano proibito.
Questo tempio rappresentava, certo, il centro religioso-cultuale
della zona. Ed è difficile pensare che, dopo la sua distruzione,
non si fosse sentito il bisogno di sostituirlo, se non con un
altro, almeno con qualche modesta edicola cristiana; edicola che
saremmo portati a collocare nel luogo stesso dove, tanti anni più
tardi, sarebbe sorta la attuale
chiesa di S. Maria. È frequente, infatti, il caso di
chiese cristiane che furono erette nelle vicinanze, o nello stesso
luogo, dove prima esisteva qualche cappella, o nicchia, o edicola
cristiana o pagana.
S'affaccia qui l'ipotesi d'un culto attribuito alla Madonna dagli
abitanti di Marano già nel primissimo medioevo. I tempi erano
allora favorevoli a ciò: la distruzione del tempio di Minerva
precedette di poco il concilio di Efeso (43 z d. C.) nel quale
Maria Vergine fu proclamata Madre di Dio; il che diede immenso e
immediato impulso
al culto
della Madonna in tutto l'Occidente e l'Oriente.
In secondo
luogo, l'ipotesi potrebbe venire suffragata da un motivo psicologico
da porsi in relazione col culto antecedentemente prestato a Minerva,
in quanto la Madonna era figura adatta ad accogliere in sé alcuni
attributi della vergine Minerva, a subentrare, entro certi limiti, a
questa. D'altra parte, naturalmente, poiché collocata in un piano
ideale ben più alto, sia come Madre di Dio, sia come esaltazione dei
più puri valori della donna che sono la verginità e la maternità, in
essa misteriosamente congiunti, finì con l'eliminarla.
Ma ancor
oggi, la processione in cui, nel giorno della sua festa, se ne porta
la statua attorno al monte, segue quel percorso che, considerata la
posizione del tempio pagano, fu probabilmente lo stesso di quando vi
si portava in processione la statua della dea.
Risulta,
dai cenni forniti sin qui, come la regione di Marano abbia, nel suo
complesso, seguito le vicende generali della Lessinia preistorica.
Un posto di primo ordine spetta, in essa, all'archeologia del
Monte
Castelon
e delle
sue adiacenze, in quanto ci offre l'esempio d'uno sviluppo pressoché
ininterrotto dal primo neolitico all'età protostorica. Risulta
ancora, in particolare, l'ininterrotta importanza, a partire
da tale età, del Monte Castelon come centro religioso della regione
attraverso il culto successivamente reso alle divinità arusnati,
alle romane e, infine, alla Vergine cristiana.
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