Marano di Valpolicella - libro edito nel 1967

MARANO DI VALPOLICELLA

 

 

 

 

CENNI STORICI a cura di MICHELE CASTELLANI

La tradizione popolare narra che il console C. Mario, dopo aver trionfato nel 102 a. C. sui Teutoni, saputo che le vicende di guerra del collega Lutazio Catulo non procedevano bene, mosse contro i Cimbri che, arrivati sopra Trento, scendevano dalle Alpi « slittando sugli scudi ».

C. Mario, ricongiuntosi al collega, diede battaglia ai Cimbri e li sconfisse ai Campi Raudii, località che, a giudizio di alcuni storici ed eruditi, dovrebbe collocarsi nella pianura veronese, non lontano dalla città. 1 veronesi, che molto avevano aiutato la vittoria, uscirono ad incontrare Mario e lo condussero trionfante in città. Fermatosi qui, ordinò la fabbrica di un Castello in Valpolicella, che in onore del suo nome si chiamò Mariano] -La leggenda popolare mostra ancora i ruderi del Castello nella località Castelon in Marano e in tal modo spiega anche l'origine del nome dato al Comune.

Per avere tuttavia altre documentazioni archivistiche - dopo il diploma di re Berengarío dell'anno 905 - dobbiamo risalire al secolo XIII.

Nel 1283 Marano era comune e il Sindaco di esso compiva alcune locazioni: in una di queste, tra le delimitazioni di confine, è ricordata « marogna que fuit facta occasione castri Marani ».

Nell'epoca della Signoria Scaligera la Valpolicella fu costituita in feudo a Federico della Scala, cugino di Cangrande, che assunse il titolo di conte della Valpolicella. Egli aveva il suo castello in Marano. Questo venne a lui confermato l'11 febbraio 1311 dall'imperatore Arrigo VII in Milano, per la devozione che lo scaligero gli aveva dimostrata. Nell'atto scritto dal notaio Isacco si legge: « ... il Castello di Marano in Valpolicella con le giurisdizioni, onori...».

Forse questo fu ampliamento dell'antico castello di Mario o fu edificato sui ruderi di quello.

Federico della Scala governava la Valpo­licella dal castello di Marano e, in quella epoca, Marano assurse ad un posto non indifferente.

Nell'estate del 1325 ammalatosi assai gravemente Cangrande, Federico della Scala, non contento del suo feudo della Valpolicella, cercò di farsi riconoscere Signore di tutti i domini scaligeri, a danno degli eredi legittimi.

Ma un insperato miglioramento di Can­grande gli fece espiare il tentativo con la prigione e il bando, che venne dato a lui e a tutta la sua famiglia il 14 settembre di quello stesso anno.

Il castello di Marano venne allora abbat­tuto e non risorse più.

Cessata la Signoria degli Scaligeri nel 1402, dopo varie vicende, Verona, per spon­tanea dedizione (1405), passò alla Serenis­sima Repubblica di Venezia. Durante que­sto periodo la Valpolicella costituì un Vica­riato, con sede in S. Pietro Incariano.

Uno dei Vicari piú celebri fu Jacopo da Marano che, in occasione della guerra tra la Repubblica Veneta e il Ducato di Mila­no, si distinse per fierezza e coraggio nel presidio della Chiusa, presso Volargne, e per l'aiuto decisivo che seppe dare alle trup­pe di Francesco Sforza nel respingere dalla città di Verona, il 2o novembre 1439, le mi­lizie di Picciníno, a servizio del duca mila­nese Filippo Maria Visconti.

Il governo veneziano, a seguito del suc­cesso ottenuto, decretò onori allo Sforza e ai suoi collaboratori, tra i quali fu in pri­missimo piano Jacopo da Marano.

Il nome di costui rimase nel tempo co­me sinonimo di coraggio e di lealtà ed è ancor oggi motivo di orgoglio per tutti i maranesi.

Sotto il dominio della Serenissima, il Vi­cariato della Valpolicella godette di opero­sa tranquillità che, si può dire, ben di rado fu turbato e durò sino al 1805 quando le vittoriose armate francesi imposero una nuo­va distinzione amministrativa.

In quell'anno il territorio veronese fu diviso in due distretti (quello di Verona e di Legnago). ed ogni distretto suddiviso in cantoni e Marano fu assegnato a quello di S. Pietro In Cariano. Tale situazione amministrativa rimase pressappoco immutata anche con il ritorno del dominio austriaco.

Nel 1866, con l'unione del Veneto al Regno d'Italia, Marano inizia la sua auto­noma vita di comune, attivamente parteci­pando alle vicende della Patria.