|
PAESAGGIO
ED ARTE
a cura di
GIUSEPPE SILVESTRI
Col nome
unico di Valpolicella - come è noto - si designa il territorio
composto da tre vallate principali, quelle dei « progni » o torrenti
di
Negrar, Marano
e
Fumane,
scendenti
dai Lessini a nord-ovest di Verona, ed i rilievi collinari che le
separano, oltre ad una fascia d'alta pianura terrazzata che, dalla
Chiusa fino a Parona, accompagna la sponda sinistra dell'Adige.
Delle tre
vallate, quella di
Marano è
la meno
estesa e profonda, ma sta in posizione centrale rispetto alle altre
due, per cui può definirsi veramente il cuore della Valpolicella.
Essa ha inizio a San Floriano; accoglie nella parte mediana le
sparse contrade di
Valgatara
e nella
parte superiore le altrettanto sparse contrade di
Marano,
ed è
chiusa a guisa di anfiteatro da un sistema di alture avente i suoi
cardini nelle cime chiamate Castelon, La Mare e Noroni, che superano
appena i settecento metri e dalle quali discendono i « vai »
scoscesi e profondi.
Il
paesaggio di questa vallata, specialmente nella parte superiore, è
ancora abbastanza conservato, ossia meno oppresso dall'invasione di
quella nuova edilizia che, se è indice innegabile di progresso
economico e sociale, ben di rado sa inserirsi in un ambiente
naturale senza distruggerne il carattere e la fisionomia. La prova
si ha anche in quelle contrade di Valgatara e di Marano, dove le
nuove fabbriche, vuoi per lo stile tutto diverso da quello
tradizionale, vuoi per l'impiego di diversi materiali, creano uno
stridore, una disarmonia, che solo un occhio sensibile ed
esteticamente educato riesce ad avvertire.
Ma tant'è,
questo fenomeno si registra in tutta Italia, ed anche fuori; è un
segno caratteristico della nostra epoca in evoluzione, per cui c'è
solo da augurarsi che si riesca a conciliare le esigenze della vita
pratica con le leggi del buon gusto. Tanto più adesso che anche per
la Valpolicella si parla di un « rilancio turistico », e non si può
pensare di richiamarvi visitatori ed ospiti per mostrar loro un
paesaggio deturpato e guasto.
Non si
sorprenda il lettore se dico che l'inverno, nelle giornate di sole,
è forse la stagione più propizia per cogliere gli aspetti di tale
paesaggio, nella tersa purezza delle sue linee e nella magia dei
suoi infiniti colori. Mentre infatti d'estate il folto manto verde
crea nella campagna una uniformità cromatica e nasconde molti motivi
tipici del paesaggio, d'inverno questo assume levità e trasparenza e
la terra sfoggia tutta la varietà delle sue tinte. Specialmente in
collina dove, come appunto a Marano e a Valgatara, olivi e cipressi
con i loro verdi densi o pallidi fanno spicco nei vigneti spogli e
sullo sfondo rossigno della terra pulita dal vento, su cui l'erba
strinata dal gelo, e i cespugli di rovi, e le macchie delle robinie
lungo i torrenti, e i bronzei querceti sugli argini in pendio, e le
grigie strisce parallele delle « marogne », e le distese di prato o
di frumento verdino nato da poco, fanno come un mosaico di colori
che si fondono e si impastano con la morbidezza di un velluto.
Lasciando
alle spalle il poderoso campanile a torre della pieve romanica di
San Floriano entriamo a Rugolín nel territorio del nostro comune.
A
Valgatara (nome derivato, per corruzione, da Val Gotara, dove una
leggenda vuole che Stilicone, generale di Onorio, abbia vinto in
battaglia i Visigoti di Alarico) ci sono da vedere alcune cose
notevoli: a « La Fasanara » la casa Guantieri con loggia
doppia e bella colombaia del XV secolo; a Villa la pittoresca casa
Campagnola, che offre uno dei migliori esempi di costruzione a
portico e loggia architravata; a Pozzo la piccola
chiesa di San Marco,
di linee romaniche, ma trecentesca, che ha infisso „ nel fianco un
voto a Giove e, nell'interno, avanzi degli affreschi che
ricoprivano tutte le pareti e che gli studiosi ritengono del XIV e
XV secolo. Poi nella stessa contrada, la casa che fu della famiglia
Graziani, costruita al principio dell'Ottocento in eleganti forme
sanmicheliane; e « La Tor » cioè l'ex villa dei conti Nuvoloni, da
ascriversi alla fine del XVI o all'inizio del XVII secolo. Un
aspetto moderno ha assunto la chiesa parrocchiale, dopo il
prolungamento e il rifacimento della facciata, compiuti su disegni
dell'architetto Francesco
Banterle.
Poco prima di Prognol la strada maestra comincia a salire,
attraversa questa contrada, che ha alcune case tipiche, rasenta la
corte di sant'Eustacchio, dove, vigilato dai cipressi, c'è un
vecchio oratorio trasformato in deposito di attrezzi rurali e,
lasciando in disparte la Cà Novaje dei Vaona, raggiunge Canzago.
Questa località, nominata con altre della Valpolicella in un diploma
del re Berengario dell'anno 905, è in posizione assai amena e pare
che già in quell'epoca fosse abitata da gente ricca. Alcuni secoli
più tardi la famiglia comitale dei Porta vi costruì la bellissima
villa (ora proprietà Rizzini) la cui facciata con porte e finestre
bugnate, la scala esterna a quattro rampe con balaustra in tufo e
poggioli in ferro, rivela il gusto settecentesco. La fabbrica, assai
ampia, si sviluppa nel fianco orientale in un duplice loggiato
rustico, mentre un'altra ala, prolungandosi verso la strada,
termina nell'alta facciata dell'oratorio
di San Carlo,
recentemente restaurato. Circondata in passato da una vasta
proprietà terriera e da un giardino con fontane, la villa conserva
gli stemmi dei Porta, dai quali prese il nome la vicina contrada,
dove ora sorge il municipio. A Canzago c'è una seconda villa
interessante: la costruirono nel 1792 (la data si legge nella
facciata) i Lorenzi, su disegno neoclassico di Luigi Trezza; poi fu
a lungo della famiglia Buella
ed ora il nuovo proprietario Guglielmo Zorzi ne ha
iniziato il restauro per redimerla da un lungo abbandono.
Ai lontani tempi della mia infanzia quando in carrozza salivo a
Marano con mio padre - che fu a lungo ingegnere del Comune - la
grande piazza attuale non esisteva, e la chiesa parrocchiale,
settecentesca, sorgeva quasi isolata all'ombra del campanile, pure
disegnato dal Trezza. Le costruzioni
che formano ora il piccolo centro sono recenti; e il vasto tempio a
crociera, con alta cupola centrale, addossato al precedente, è stato
progettato una trentina d'anni fa dal sacerdote
Giuseppe Trecca
ed
accostato in modo piuttosto disarmonico alla vecchia chiesa, che
sussiste.
In
sostituzione delle anguste e ripide carrozzabili, che si
inerpicavano a giravolte per il monte, qualche decennio fa il Comune
costruì quella più ampia e dolce che, dalla piazza, sale al valico
della Crocetta, donde un ramo conduce a Purano, un altro discende a
Fumane e il principale piega bruscamente a nord e continua a salire
verso Pezza e San Rocco, sempre più ampliando la visuale sulla
vallata. Questa arteria è ora di competenza dell'Amministrazione
Provinciale, la quale provvede ad una radicale sistemazione
(rettifiche di tracciati, ampliamento di carreggiata e asfaltatura)
dell'intero tronco che, attraverso Santa Cristina e Cerna, va a
congiungersi, poco prima di Sant'Anna d'Alfaedo, alla strada
risalente da Negrar.
Le
contrade di Pezza e di San Rocco, formate in gran parte di
vecchissime case, molte dentro cortili chiusi dai caratteristici
portoni ad arco coperto da lastre di pietra, stanno alla base del
monte Castelon. Intorno a questo si sbizzarrì la fantasia degli
storici, per via di certi
ruderi in cui alcuni vollero vedere i resti di un tempio dedicato a
Minerva (parecchie iscrizioni recanti il suo nome vi furono
infatti trovate e le riporta anche il Mommsen), ed altri i resti
del castello costruito da Federico della Scala, conte della
Valpolicella, e poi distrutto nel 1325 per ordine di Cangrande, al
quale Federico aveva tentato di ribellarsi, pagando con l'esilio la
sua fellonia.
In realtà sul monte Castelon
avanzi veri e propri di costruzioni antiche non se ne vedono più. A
breve distanza dall'attuale chiesa di Santa Maria di Minerbe (detta
anche della Valverde), nel terreno roccioso e stratificato si
trovano profonde spaccature verticali e qualche traccia di galleria
artificiale. Sul vertice del monte, più a nord, dove
verosimilmente sorgeva il castello medioevale, non c'è che un
ripiano limitato all'interno da un rialzo erboso, che indica forse
la base dell'antica cinta muraria poligonale.
Sia da San Rocco e sia da Pezza
agevoli strade, costruite di recente dal Comune, conducono ora al
Santuario di Santa
Maria, il quale domina
dall'alto anche la contrada di Purano, posta sull'altro versante del
monte, sopra la valle del « progno » di Fumane. Il piccolo sagrato
della chiesa, circondato di pini, forma un belvedere stupendo per
chi voglia contemplare nel suo insieme
il
panorama della Valpolicella non solo, ma uno assai più vasto che va
dalla catena del Baldo alle Prealpi vicentine, dall'altipiano
lessinio alla pianura mantovana e alle rive del Garda.
La chiesa
è ben tenuta: la pianta è a tre navate e a tre absidi ed una traccia
di decorazione a dentelli nell'esterno del fianco meridionale,
nonché la tradizione che lassù vi sia stato un tempio fin dalla
remota antichità, concorrono a farla ritenere d'origine romanica. Ma
una radicale trasformazione, alla quale probabilmente si riferisce
la data del
1682
che si
legge sull'altare barocco, ed un restauro più recente, rendono
difficile ogni accertamento in proposito. Il sito è comunque di una
bellezza incantevole, di una suggestione poetica. All'ombra del
quadrato campanile, costruito in conci di pietra, c'è un piccolo
camposanto in cui riposano i morti di Pezza, San Rocco e Purano, che
per secoli vi venero trasportati a spalle per erti sentieri.
Nessuno
abita più la piccola casa canonicale, piantata su la viva roccia a
strapiombo e strinata dal sole e dai venti. Eppure in un lenzuolo di
terra germoglia un orticello, e un canale che scende dal tetto
convoglia l'acqua piovana in una cisterna ricoperta d'edera; e da un
balconcino in ferro battuto, posto in alto sotto la gronda, più che
quella di un eremita, sembra debba affacciarsi la figura leggiadra
di una fanciulla in vena di cantare, con quella dell'amore, la
bellezza della natura.
Ultima
tappa di questa escursione: Purano. Alcune nuove costruzioni hanno
alterato l'aspetto della rustica contrada, al centro della quale una
vecchia chiesa, assai trasformata dall'originale, porta murata nel
fianco settentrionale un'iscrizione gotica del
1410.
Nello
scorso secolo, sotto l'altare, fu rinvenuto pure un cippo romano,
con altra iscrizione riportata dal Mommsen. Da ricordare ancora, a
Purano, una bella casa secentesca a portico, e a pochi passi da essa
un deperito affresco con la « Deposizione di Cristo », che reca la
data del
16o8.
|
|