Marano di Valpolicella - libro edito nel 1967

MARANO DI VALPOLICELLA

 

 

 

 

PAESAGGIO ED ARTE a cura di GIUSEPPE SILVESTRI

Col nome unico di Valpolicella - come è noto - si designa il territorio composto da tre vallate principali, quelle dei « progni » o torrenti di Negrar, Marano e Fumane, scendenti dai Lessini a nord-ovest di Verona, ed i rilievi collinari che le separano, oltre ad una fascia d'alta pianura terrazzata che, dalla Chiusa fino a Parona, accompagna la sponda sinistra dell'Adige.

Delle tre vallate, quella di Marano è la meno estesa e profonda, ma sta in posizione centrale rispetto alle altre due, per cui può definirsi veramente il cuore della Valpolicella. Essa ha inizio a San Floriano; accoglie nella parte mediana le sparse contrade di Valgatara e nella parte superiore le altrettanto sparse contrade di Marano, ed è chiusa a guisa di anfiteatro da un sistema di alture avente i suoi cardini nelle cime chiamate Castelon, La Mare e Noroni, che superano appena i settecento metri e dalle quali discendono i « vai » scoscesi e profondi.

Il paesaggio di questa vallata, specialmente nella parte superiore, è ancora abbastanza conservato, ossia meno oppresso dall'invasione di quella nuova edilizia che, se è indice innegabile di progresso economico e sociale, ben di rado sa inserirsi in un ambiente naturale senza distruggerne il carattere e la fisionomia. La prova si ha anche in quelle contrade di Valgatara e di Marano, dove le nuove fabbriche, vuoi per lo stile tutto diverso da quello tradizionale, vuoi per l'impiego di diversi materiali, crea­no uno stridore, una disarmonia, che solo un occhio sensibile ed esteticamente educato riesce ad avvertire.

Ma tant'è, questo fenomeno si registra in tutta Italia, ed anche fuori; è un segno caratteristico della nostra epoca in evoluzione, per cui c'è solo da augurarsi che si riesca a conciliare le esigenze della vita pratica con le leggi del buon gusto. Tanto più adesso che anche per la Valpolicella si parla di un « rilancio turistico », e non si può pensare di richiamarvi visitatori ed ospiti per mostrar loro un paesaggio deturpato e guasto.

Non si sorprenda il lettore se dico che l'inverno, nelle giornate di sole, è forse la stagione più propizia per cogliere gli aspetti di tale paesaggio, nella tersa purezza delle sue linee e nella magia dei suoi infiniti colori. Mentre infatti d'estate il folto manto verde crea nella campagna una uniformità cromatica e nasconde molti motivi tipici del paesaggio, d'inverno questo assume levità e trasparenza e la terra sfoggia tutta la varietà delle sue tinte. Specialmente in collina dove, come appunto a Marano e a Valgatara, olivi e cipressi con i loro verdi densi o pallidi fanno spicco nei vigneti spogli e sullo sfondo rossigno della terra pulita dal vento, su cui l'erba strinata dal gelo, e i cespugli di rovi, e le macchie delle robinie lungo i torrenti, e i bronzei querceti sugli argini in pendio, e le grigie strisce parallele delle « marogne », e le distese di prato o di frumento verdino nato da poco, fanno come un mosaico di colori che si fondono e si impastano con la morbidezza di un velluto.

Lasciando alle spalle il poderoso campanile a torre della pieve romanica di San Floriano entriamo a Rugolín nel territorio del nostro comune.

A Valgatara (nome derivato, per corruzione, da Val Gotara, dove una leggenda vuole che Stilicone, generale di Onorio, abbia vinto in battaglia i Visigoti di Alarico) ci sono da vedere alcune cose notevoli: a « La Fasanara » la casa Guantieri con loggia doppia e bella colombaia del XV secolo; a Villa la pittoresca casa Campagnola, che offre uno dei migliori esempi di costruzione a portico e loggia architravata; a Pozzo la piccola chiesa di San Marco, di linee romaniche, ma trecentesca, che ha infisso „ nel fianco un voto a Giove e, nell'interno,  avanzi degli affreschi che ricoprivano tutte le pareti e che gli studiosi ritengono del XIV e XV secolo. Poi nella stessa contrada, la casa che fu della famiglia Graziani, costruita al principio dell'Ottocento in eleganti forme sanmicheliane; e « La Tor » cioè l'ex villa dei conti Nuvoloni, da ascriversi alla fine del XVI o all'inizio del XVII secolo. Un aspetto moderno ha assunto la chiesa parrocchiale, dopo il prolungamento e il rifacimento della facciata, compiuti su disegni dell'architetto Francesco Banterle.

Poco prima di Prognol la strada maestra comincia a salire, attraversa questa contrada, che ha alcune case tipiche, rasenta la corte di sant'Eustacchio, dove, vigilato dai cipressi, c'è un vecchio oratorio trasformato in deposito di attrezzi rurali e, lasciando in disparte la Cà Novaje dei Vaona, raggiunge Canzago. Questa località, nominata con altre della Valpolicella in un diploma del re Berengario dell'anno 905, è in posizione assai amena e pare che già in quell'epoca fosse abitata da gente ricca. Alcuni secoli più tardi la famiglia comitale dei Porta vi costruì la bellissima villa (ora proprietà Rizzini) la cui facciata con porte e finestre bugnate, la scala esterna a quattro rampe con balaustra in tufo e poggioli in ferro, rivela il gusto settecentesco. La fabbrica, assai ampia, si sviluppa nel fianco orientale in un duplice loggiato rustico, mentre un'al­tra ala, prolungandosi verso la strada, termina nell'alta facciata dell'oratorio di San Carlo, recentemente restaurato. Circondata in passato da una vasta proprietà terriera e da un giardino con fontane, la villa conser­va gli stemmi dei Porta, dai quali prese il nome la vicina contrada, dove ora sorge il municipio. A Canzago c'è una seconda villa interessante: la costruirono nel 1792 (la data si legge nella facciata) i Lorenzi, su dise­gno neoclassico di Luigi Trezza; poi fu a lungo della famiglia Buella ed ora il nuovo proprietario Guglielmo Zorzi ne ha iniziato il restauro per redimerla da un lungo abbandono.

Ai lontani tempi della mia infanzia quando in carrozza salivo a Marano con mio padre - che fu a lungo ingegnere del Comune - la grande piazza attuale non esisteva, e la chiesa parrocchiale, settecentesca, sorgeva quasi isolata all'ombra del campanile, pure disegnato dal Trezza. Le costruzioni che formano ora il piccolo centro sono recenti; e il vasto tempio a crociera, con alta cupola centrale, addossato al precedente, è stato progettato una trentina d'anni fa dal sacerdote Giuseppe Trecca ed accostato in modo piuttosto disarmonico alla vecchia chiesa, che sussiste.

In sostituzione delle anguste e ripide carrozzabili, che si inerpicavano a giravolte per il monte, qualche decennio fa il Comune costruì quella più ampia e dolce che, dalla piazza, sale al valico della Crocetta, donde un ramo conduce a Purano, un altro discende a Fumane e il principale piega bruscamente a nord e continua a salire verso Pezza e San Rocco, sempre più ampliando la visuale sulla vallata. Questa arteria è ora di competenza dell'Amministrazione Provinciale, la quale provvede ad una radicale sistemazione (rettifiche di tracciati, amplia­mento di carreggiata e asfaltatura) dell'intero tronco che, attraverso Santa Cristina e Cerna, va a congiungersi, poco prima di Sant'Anna d'Alfaedo, alla strada risalente da Negrar.

Le contrade di Pezza e di San Rocco, formate in gran parte di vecchissime case, molte dentro cortili chiusi dai caratteristici portoni ad arco coperto da lastre di pietra, stanno alla base del monte Castelon. Intorno a questo si sbizzarrì la fantasia degli storici, per via di certi ruderi in cui alcuni vollero vedere i resti di un tempio dedicato a Mi­nerva (parecchie iscrizioni recanti il suo no­me vi furono infatti trovate e le riporta an­che il Mommsen), ed altri i resti del castel­lo costruito da Federico della Scala, conte della Valpolicella, e poi distrutto nel 1325 per ordine di Cangrande, al quale Federico aveva tentato di ribellarsi, pagando con l'esi­lio la sua fellonia.

In realtà sul monte Castelon avanzi veri e propri di costruzioni antiche non se ne vedono più. A breve distanza dall'attuale chiesa di Santa Maria di Minerbe (detta an­che della Valverde), nel terreno roccioso e stratificato si trovano profonde spaccature verticali e qualche traccia di galleria artifi­ciale. Sul vertice del monte, più a nord, do­ve verosimilmente sorgeva il castello medio­evale, non c'è che un ripiano limitato all'in­terno da un rialzo erboso, che indica forse la base dell'antica cinta muraria poligonale.

Sia da San Rocco e sia da Pezza agevoli strade, costruite di recente dal Comune, con­ducono ora al Santuario di Santa Maria, il quale domina dall'alto anche la contrada di Purano, posta sull'altro versante del mon­te, sopra la valle del « progno » di Fuma­ne. Il piccolo sagrato della chiesa, circon­dato di pini, forma un belvedere stupendo per chi voglia contemplare nel suo insieme il panorama della Valpolicella non solo, ma uno assai più vasto che va dalla catena del Baldo alle Prealpi vicentine, dall'altipiano lessinio alla pianura mantovana e alle rive del Garda.

La chiesa è ben tenuta: la pianta è a tre navate e a tre absidi ed una traccia di decorazione a dentelli nell'esterno del fianco meridionale, nonché la tradizione che lassù vi sia stato un tempio fin dalla remota antichità, concorrono a farla ritenere d'origine romanica. Ma una radicale trasformazione, alla quale probabilmente si riferisce la data del 1682 che si legge sull'altare barocco, ed un restauro più recente, rendono difficile ogni accertamento in proposito. Il sito è comunque di una bellezza incantevole, di una suggestione poetica. All'ombra del quadrato campanile, costruito in conci di pietra, c'è un piccolo camposanto in cui riposano i morti di Pezza, San Rocco e Purano, che per secoli vi venero trasportati a spalle per erti sentieri.

Nessuno abita più la piccola casa canonicale, piantata su la viva roccia a strapiombo e strinata dal sole e dai venti. Eppure in un lenzuolo di terra germoglia un orticello, e un canale che scende dal tetto convoglia l'acqua piovana in una cisterna ricoperta d'edera; e da un balconcino in ferro battuto, posto in alto sotto la gronda, più che quella di un eremita, sembra debba affacciarsi la figura leggiadra di una fanciulla in vena di cantare, con quella dell'amore, la bellezza della natura.

Ultima tappa di questa escursione: Purano. Alcune nuove costruzioni hanno alterato l'aspetto della rustica contrada, al centro della quale una vecchia chiesa, assai trasformata dall'originale, porta murata nel fianco settentrionale un'iscrizione gotica del 1410. Nello scorso secolo, sotto l'altare, fu rinvenuto pure un cippo romano, con altra iscrizione riportata dal Mommsen. Da ricordare ancora, a Purano, una bella casa secentesca a portico, e a pochi passi da essa un deperito affresco con la « Deposizione di Cristo », che reca la data del 16o8.