Marano di Valpolicella - libro edito nel 1967

MARANO DI VALPOLICELLA

 

 

 

 

CENNI SUL FOLCLORE a cura di GIANNI FAE'

Nella montagna veronese gli usi e i costumi delle antiche popolazioni, forse più che altrove, si sono tramandati e conservati per il favore delle particolari condizioni ambientali, come l'isolamento che ha determinato la sopravvivenza dell'isola linguistica di Giazza. Allo studioso che sappia pazientemente indagare la Lessinia può offrire abbondante messe.

Si tratta per lo più, ormai, non tanto di manifestazioni clamorose ed appariscenti, quanto di abitudini domestiche, di tradizioni familiari, di regole locali e, talvolta, di vere e proprie « leggi » consacrate da una necessità economica, da conseguenze ambientali, da consuetudini religiose, da superstizioni. Queste consuetudini sono in linea di massima rispettate, anche se spesso la loro osservanza appare intiepidita o adombrata da una poco convinta spregiudicatezza, specialmente per l'influenza della mutata mentalità delle nuove generazioni.

La diffusione dei mezzi di comunicazione, della stampa e dell'istruzione soprattutto, hanno attenuato il rigore di una pesante bardatura mentale, che in alcuni casi fortunatamente circoscritti rappresenta tuttora una grave remora, fin negli aspetti più immediati della realtà quotidiana, allo sviluppo e al naturale progresso della vita sociale di alcuni paesi più disagiati e meno accessibili. Con il rapido aumento dei mezzi di trasporto e con l'intensificarsi dei rapporti civili e sociali molto del passato sta scomparendo senza rimpianti e senza recriminazioni.

Vero è d'altra parte che, molto spesso, tradizioni usi e costumi sono permeati da un chiaro spirito di fresca ingenuità, di sottile fantasia, e lasciano trasparire una loro particolare bellezza di primitiva, ma viva poesia. In special modo nel campo strettamente familiare e nel solco delle tradizioni religiose, non è difficile cogliere un genuino e positivo valore dei più profondi e incontaminati sentimenti: la fede e la famiglia costituiscono ancora i due pilastri fondamentali per la vita dei nostri montanari.

Forse ispirati dagli aromatici vini di Marano sono sbocciate tante fra le villotte che furono raccolte nel secolo scorso dal Righi e che si modulavano con note uniformi sulle aie, alternandole con le battute del cembalino e con la danza della furlana o della monferrina.

Nel folclore del paese non mancano le leggende: da quelle erudite che narrano di Caio Mario contro i rozzi Cimbri e della cruentissima battaglia delle legioni di Stilicone contro i Visigoti di Alarico, a quella della grande e meravigliosa statua tutta d'oro della dea Minerva sepolta nelle profonde viscere del Castelon. Meritano una particolare attenzione le « feste » e le « sagre » che in diversi paesi della montagna veronese si svolgono immancabilmente con lo spettacolo dei « tromboni », in alcune località chiamati « trombini » o « pistoni ».

A Marano, la tradizionale processione della statua della Madonna intorno al Castelon si conclude ogni anno con lo sparo delle caratteristiche armi dall'alto del monte, che domina per un vasto raggio la Valpolicella, e costituisce una delle più interessanti manifestazioni popolari della Lessinia.

In realtà non si tratta di una tradizione molto antica, ma risalente tutt'al più ai primi decenni del secolo scorso, almeno nella sua forma attuale, benché la struttura dei « pezzi » si richiami agli archibugi o alle colubrine del 16oo e del 1700.

In una descrizione della festa per il solenne ingresso di don Luigi Perbellini, parroco d'Illasi, avvenuta il 12 maggio 1839, Bonifacio Sprea informa che accanto agli archi monumentali eretti dai bravi parrocchiani si rimiravano in lunga schiera distribuiti 35 gagliardi uomini pistonieri coi loro schioppi in spalla che parevano coscie di bue, con cap­pelli infiorati, infioccati, con altrettanti portapolvere ai loro fianchi. Un Comandante, un'Aiutante, ed un Sorvegliatore di Polizia fronteggiavano gli artiglieri, ed un garzon­cello vestito a bianco turchescamente, con fiori in testa, e bandiera in mano li trameza­va. La delicatezza del giovinetto veduto al­lato alla robustezza di quelli atleti faceva un contrasto piacevolmente maraviglioso. Parea la Pace seduta in mezzo a guerrieri armati dopo la fiamma della battaglia.

Infatti, prima che il lungo corteo di carrozze varcasse il torrente Progno, la balda artiglieria aveva salutato il passaggio nella distanza ad un miglio e mezzo, con una salva di pistonate così vemente che la valle tutta da capo a fondo ne rimbombò. Una seconda salva sorella affatto all'antecedente si senti poi. Dopo l'uscita di questo scoppio, pel giusto titolo di salvezza degli cavalli, dei ca­valieri, dei timorosi, e di ciascheduno, il tremuoto dell'armi stette in silenzio fino all'en­trata nel Santuario del sacro Pastore.

L'ode composta per l'occasione diceva fra l'altro:

De' Pistoni il tuon fortissimo Fa la terra traballar...

L'ingresso solenne del nuovo parroco si concludeva infine nell'esultanza degli orga­ni e nel generale cannonamento dell'artiglieria popolare.

I « tromboni » sono infatti dei veri e pro­pri pezzi di artiglieria ed avancarica, originari della montagna ed opera di pazienti artigiani. Oggi sono sparsi un po' dovunque nei paesi del Veronese, Vicentino, Bresciano, Mantovano e Trentino; ma al richiamo di una festa straordinaria ritornano quasi tutti come per incanto alla montagna.

Abbiamo avuto occasione negli anni scorsi di ammirarne una batteria in un paese sui monti della Lessinia orientale. Ognuno portava il suo nome originale, come Gemello, Temporale, Lustrin, Son qua anca mi.

Nomi, come si vede appropriati e significativi. Il più bello di tutti, l'orgoglio della squadra si chiamava « Terra motto » (sic!), ricco di fregi in ottone e argento, del rispettabile peso di 58 chilogrammi; singolare era la tavoletta sul fianco con incisi i seguenti versi:

 

« Al vedermi ti spavento

 se mi provi sarai contento

 sii onesto nel cargare

se non vuoi in terra andare.

Il piacer che tu mi fai

sempre in spalla

in terra mai ».

La maggior parte di questi « tromboni » è dell'Ottocento, (uno con la data del 1876), e pesano ognuno circa 50 chilogrammi. Sono composti da un poderoso calcio in legno con una larga base e da una canna la cui boc­ca termina svasata a mo' di campana; la par­te terminale porta in fusione bellissimi rilievi di figure e di fiori. La cassa e il piede di legno, talvolta lavorato, sono abbelliti da parti metalliche con decorazioni varie e por­tano sulla destra una grossa maniglia, il cane e il grilletto per l'accensione dell'esplosivo, costituito da una precisa dose di polvere nera.

Il caricamento viene eseguito dagli spe­cialisti versando nella canna l'esplosivo, che viene compresso con un legno e una mazza pure di legno: un lavoro delicato. Lo sparo è quanto mai di più caratteristico si possa sentire, e costituisce la parte più spettacola­re: gli uomini e i giovani più forti e corag­giosi si cimentano a prova premendo il gril­letto e, nel momento dell'esplosione fumosa e fragorosa, sollevando il pesante pezzo sulla spalla sinistra sfruttando la forza di rinculo e contemporaneamente rigirandosi su se stes­si. C'è poi tutto un cerimoniale, al qual, sovrintende un capo.

Spesso lo sparatore si lega alla gamba sinistra un grosso sacco, detto « s-ciavin » per attutire i colpi. Gli uomini coi pezzi sono talvolta in divisa e marciano inquadrati lun­go le vie del paese per recarsi sul luogo dello sparo, che per evidente precauzione av­viene sulle alture circostanti. Non è raro il caso che la dosatura e la compressione della polvere non sia esatta e scoppi l'arma, come ricorda l'ex voto nella chiesa di S. Maria di Valverde e riprodotta nel presente volu­metto.

Una corda trattiene la folla, sempre nu­merosa, che assiste allo spettacolo ed ap­plaude a seconda della riuscita dei vari colpi.

Una manifestazione folcloristica di partico­lare interesse, dunque, quella che si svolge a Marano come in altre località dei nostri monti; un'attrattiva antica e singolare che merita di essere conosciuta dai turisti, che non mancano mai nelle feste tradizionali e nelle sagre della montagna veronese. Una iniziativa popolare, diciamo noi, che torna conto per molti aspetti di sostenere e di valorizzare.