I primi documenti relativi alla chiesa di Santa
Maria risalgono all’inizio del Quattrocento, ma certamente un edificio
religioso esisteva da molto tempo (per i possibili richiami al culto
pagano cfr. KNAPTON 1987, 379).
Comunque sia, la devozione a Santa Maria della Valverde (detta nelle fonti
anche di Minerbe e de castro)
cresce nel corso del XV
e del
XVI
secolo,
fino
a essere definita
maxima: significativo
il numero degli altari (ben quattro, come nella chiesa parrocchiale),
dedicati a Maria, a Sant’Antonio, a San Rocco e alla Passione di Cristo (ASCDVr,
VP Carlotti reg. XVII, c.
103v,
23 ottobre
1605). Il fervore della comunità
si manifesta anche nelle processioni in occasione delle più importanti
feste mariane e nella partecipazione alla messa della prima domenica del
mese, celebrata dal parroco di Marano. Nel
1682 la frequenza al culto è tale
da rendere necessario un rifacimento della chiesa; poi, nel Settecento, il
vescovo stesso ordina di installare un confessionale per i fedeli che
accorrono nelle solennità (Ivi,
VP Bragadino, reg. LX, c.
30r,
29 settembre
1738). L’insieme dei dati
suggerisce una devozione alla Madonna della Valverde molto radicata, quasi
in concorrenza con la frequenza alla parrocchia: concorrenza per altro
limitata dal fatto che per molto tempo è lo stesso rettore di Marano ad
avere la cura spirituale del santuario. La chiesa attira molte persone
anche a causa della presenza di eremiti. Quelli di Santa Maria, di solito,
sono laici, ma vicini a ordini religiosi riconosciuti e con autorizzazione
del vescovo: nel 1530 e nel
1532, per esempio, c’è un
Gottardo, converso servita, con regolare permesso di lasciare il convento;
un secolo più tardi, nel 1659,
l’eremita lì presente sta per ricevere gli ordini minori. Questi
personaggi fanno da custodi del santuario, ma spesso hanno un certo
prestigio e ascendente religioso, e sono molto amati dai fedeli: i
vescovi, perciò, si preoccupano della loro condotta morale, raccomandando
di non ubriacarsi e di dare sempre il buon esempio. La cura materiale
della chiesa è affidata
in parte alla confraternita mariana che vi ha la propria sede, in parte al
Comune di Marano, al quale spetta l’onere, nel Settecento, di stipendiare
un cappellano con la cospicua somma di
310 troni l’anno, come risulta dal registro delle spese comunali (1725-82).
[l.c.]
(tratto dal libro edito dal comune, Marano Valpolicella,
1999)
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